Don Bosco, all’orto urbano si coltiva alla «bengalese»

Grazie alle donne immigrate, introdotte nuove colture e nuove tecniche Loro imparano l’italiano, gli abitanti del rione i segreti dell’agricoltura


di Irene Cocco


BOLZANO. C'è un bellissimo racconto che si riferisce all'attuale situazione della migrazione sul suolo italiano e non parla di dolore o disgrazia, bensì di vite rinnovate e famiglie ricongiunte. E' un racconto che parte dal lontano Bengala, una regione nel nord-est dell'India, e arriva fino agli appezzamenti coltivati nell'orto urbano delle Semirurali, in quell'angolo di terra tra via Bari e via Alessandria, dove nel 2010 Hilary Solly ha ottenuto il permesso di trasformare un terreno incolto in un giardino. Protagoniste sono le donne, circa otto, esponenti di altrettante famiglie bengalesi. C'è Tania Sultana, da 10 anni residente a Bolzano, che grazie all'orto ha potuto migliorare il suo italiano. C'è Margia Kanom, che da quando coltiva la frutta e la verdura esce molto più spesso e si sente più integrata nella comunità cittadina. Poi ci sono Shaila Kanta e suo figlio Nobel di 4 anni, Begum Afia, Shammi Akther, da solo 10 mesi a Bolzano ma già parte integrante della vita dell'orto, Begum Hazera, Khanom Sazida, e Rokshana Begum che lavora come mediatrice linguistica presso l'associazione Porte Aperte e che grazie al suo fluente italiano aiuta tutte quante a relazionarsi. Queste donne rappresentano la forza straordinaria della vita che prende forma e si rinnova nonostante le avversità, la paura, l'incertezza e la perdita. Tante sono state le sofferenze che hanno patito quando i mariti sono pariti dal Bengala per il mondo, in cerca forse di quel futuro che non avrebbero potuto assicurare alle loro famiglie in patria. Migrare nel ventunesimo secolo significa ancora divisione e speranza, significa mutilare intere famiglie e a volte, ma solo a volte, ritrovarsi. Dai sorrisi timidi si capisce che i ricordi ancora fanno male ma nessuna è disposta a soffermarsi troppo su quello che è stato e tutte guardano al futuro. «Mi auguro che i miei figli possano avere un giorno un buon lavoro, e che si possano sentire italiani come mi sento io», dice Shaila Kanta, a Bolzano da 11 anni e dal 2010 assidua frequentatrice dell'orto urbano. Spiega Rokshana Begum: «L'orto è una bellissima iniziativa che ha dato alle donne la possibilità di uscire di casa, ritrovarsi per fare qualcosa di utile e all'aria aperta. Prima la loro vita era molto più ristretta al nucleo familiare e agli ambienti domestici, invece adesso si parla molto di più l'italiano e c'è un desiderio sempre maggiore di integrarsi ed offrire le nostre conoscenze ai bolzanini». A “Bolzano in bici”, il 21 settembre scorso, le donne bengalesi si sono ritrovate in piazza Tribunale per cucinare cibi tipici della loro regione avvalendosi dell'aiuto degli alpini. E all’orto hanno insegnato agli abitanti del quartiere un modo nuovo di coltivare. Racconta Hilary Solly, ideatrice del progetto: «Tutte loro ci hanno mostrato una maniera completamente nuova di coltivare e ci hanno fatto conoscere verdure e frutti a noi sconosciuti ma molto usati nella loro cucina. La loro dedizione al lavoro è il risultato più bello dell'esperienza dell'orto». Salta agli occhi qualcosa di diverso, passeggiando per gli orti Se si seguono i viali stretti tra pomodori e zucchine non si può fare a meno di notare che ad un certo punto le colture si dispongono su due piani: uno a terra e uno aereo che sovrasta il sottostante grazie ad un intrecciarsi ragionato di rami e ramoscelli. Zucche dalle dimensioni notevoli che pendono come grandi decori dal tetto di rami sembrano essere state appese in bella mostra da mano umana anziché essere cresciute spontaneamente. Sono zucche che le donne bengalesi chiamano “zinga” e nascono da semi fatti venire apposta dalle terre più meridionali del Bengala. Poi c'è il coriandolo la korolla, una verdura amara dalle proprietà curative, ed una grande quantità di spezie profumate che rendono l'aria ricca di suggestioni esotiche. Molte sono state le mani che hanno contribuito alla realizzazione dei “macia”, i tetti che fungono da colture aeree. E tutti i novelli contadini dell'orto urbano di Don Bosco hanno capito che dalla diversità c'è sempre da imparare. Adesso una sfida importante per tutte loro, è quella di migliorare l'italiano grazie ad un corso organizzato dall’associazione Donne Nissà, intitolato “Dall'orto alla società”.













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