Fabio Giavedoni: «Conquistato dalla Schiava di Caldaro»

Il sommelier di fama mondiale estimatore dei nostri vini «È il valore più importante di questo territorio»


di Federica Randazzo


CALDARO. Le sale di Castel Mareccio sono state animate nelle scorse settimane dalla Mostra vini di Bolzano, che ha riscosso grande successo. Una bella occasione per fare un viaggio fra i vini più rappresentativi del nostro territorio, grazie ai laboratori condotti da Fabio Giavedoni, curatore della Guida Slow wine. Il territorio della Bassa Atesina e dell’Oltradige, naturalmente, recitano la parte del leone. «Ho una passione smodata per le Schiave» ha esordito Giavedoni dedicando il primo incontro proprio alla rinascita di quello che è il vitigno altoatesino per eccellenza. «E’ il vino di casa, che nel passato ha rappresentato la varietà più importante per questo territorio, sia da un punto di vista numerico, che da un punto di vista affettivo». Un vino che regala espressioni molto diverse, dagli eleganti del Lago di Caldaro, allo stile più ricco delle Schiave meranesi, fino ai più ampi e strutturati Santa Maddalena.

Un vino che è stato protagonista di una felice storia di qualità: considerato per anni di serie B, commercializzato per pochi soldi in bottiglioni da litro, è diventato oggi un prodotto di riconosciuto valore, che sorprende anche per le inaspettate doti di invecchiamento. Questo è stato possibile grazie a un grande lavoro di selezione: nel 1978 la superficie vitata a schiava era di 3.600 ettari, oggi è di 840 ettari. «Questi dati vanno letti come la rinascita della schiava – ha precisato Giavedoni – che, se da un lato è stata largamente spiantata per far posto ad altri vitigni, dall’altro ha saputo reinventarsi partendo dalle zone più vocate». La Schiava, inoltre, si trova perfettamente al passo con le nuove tendenze del mercato, sempre più alla ricerca di vini beverini e non troppo alcolici, «di quelli che finiscono in un attimo, prima ancora che arrivi l’antipasto».

Dalla Schiava al Lagrein, «il prodotto su cui oggi l’Alto Adige sta puntando come grande vino rosso autoctono» e a cui è stata dedicata la seconda degustazione. Anche in questo caso, una varietà fortemente legata al territorio, citata per la prima volta in un editto del 1097 che fissava le norme vendemmiali per i monaci di Gries, zona in cui ancora oggi viene coltivata con successo.

«Un vino duttile, che si esprime bene sia nelle versioni di lungo affinamento, che in quelle più immediate. Molto apprezzata anche la versione “Kretzer”, curiosamente nata dal divieto di bere Lagrein imposto nel 1370 dall’Imperatore Carlo IV alle compagnie di militari, in quanto considerato troppo alcolico. Da qui la pratica di vinificarlo in rosato, per “mascherarlo” da Schiava. Calice alla mano Giavedoni ha assicurato che l’annata 2016 – i cui primi esemplari escono ora in commercio – «ha regalato Lagrein ricchi di frutto e freschezza croccante» Ne esce un quadro assolutamente positivo dei vini altoatesini.

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