Febbre da Masterchef Boom dell’«alberghiero»

Raddoppiate le iscrizioni nelle due scuole altoatesine, oltre 1.800 studenti Hintner, cuoco stellato di Appiano: «Si guadagna bene, ma è un lavoro duro»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. Ricercati e ben pagati lo sono sempre stati, ma negli ultimi anni sono diventati delle vere e proprie star. Protagonisti di programmi televisivi di successo – dalla Prova del cuoco a Masterchef - autori di libri, ospiti dei salotti, come di piccoli e grandi eventi, gli chef non conquistano solo i palati più raffinati, ma anche la fantasia dei giovani che sempre più spesso decidono di mettere la creatività al servizio dei sensi. Un fenomeno questo che si traduce in un boom di iscrizioni nelle scuole alberghiere altoatesine: complessivamente oltre 1.800 studenti. La scuola di lingua italiana, che fa capo alla formazione professionale, è la Cesare Ritz di Merano. «Dieci anni fa – spiega la preside Chicca Pascarella – avevamo 200 iscritti, oggi sono 430 e potrebbero essere anche molti di più se avessimo più spazi». Trend in continua crescita anche nelle scuole alberghiere di lingua tedesca: due a Merano, una a Bressanone e una a Brunico. Dal 2009 l'offerta formativa è aumentata con l'introduzione del biennio presso la scuola professionale provinciale per il commercio e le arti grafiche Gutenberg di Bolzano.

I numeri. Dal 2007 ad oggi, nelle scuole tedesche, gli studenti sono aumentati del 53%: nell'anno scolastico in corso gli iscritti sono 1.431. Tre indirizzi: operatore ai servizi della ristorazione settore cucina, settore sala-bar, settore ricevimento. «Il biennio - dice Pascarella - è uguale per tutti: il terzo anno si sceglie l'indirizzo. La formazione è triennale o quinquennale. Il corso più gettonato è quello per i cuochi anche se non la considero la figura più importante: un ristorante o un albergo funziona se c'è un team all'altezza, che significa anche camerieri e addetti alla reception. Altro dato interessante: se una volta il corso era frequentato quasi esclusivamente da maschi, oggi è in aumento la presenza femminile che ha raggiunto il 36%». Ma cosa spinge un numero sempre più importante di ragazzi ad intraprendere la carriera dello chef?

Il lavoro. «Ovviamente il fatto che molti cuochi italiani e stranieri – spiega la preside della scuola Ritz di Merano – siano diventati, in particolare negli ultimi anni, personaggi che fanno tendenza, ha avuto un ruolo importante, perché ha dato grande visibilità a chi in passato stava solo dietro ai fornelli e ha avuto il merito di valorizzare la professione. Ma al di là di questo si sceglie di fare la scuola alberghiera ed in particolare il corso per cuochi, perché oltre ad essere un campo molto creativo dà poi uno sbocco occupazionale. I nostri ragazzi trovano facilmente lavoro. Più d'uno sceglie di andare a fare esperienze all'estero. Si guadagna bene, anche se è un lavoro molto duro: non ci sono sabati, non ci sono domeniche e neppure festività. Se si fanno le stagioni si ha il vantaggio di lavorare solo un certo numero di mesi all'anno, ma in quel periodo non c'è un attimo di tregua. Per questo intorno ai quarant'anni più d'uno molla».

Herbert Hintner, chef stellato del Zur rose di Appiano, ha stimato, che dopo un certo numero di anni, passati in cucina, il 60% cambia mestiere.

Il guadagno. «Anch'io – racconta Hintner – intorno ai 22 anni sono stato fortemente tentato di cambiare lavoro. Anche se questo è un mestiere dove si guadagna mediamente bene: lo chef di un cinque stelle arriva intorno ai 7-8 mila euro al mese; la media è intorno 3.500-4 mila».

Originario della Val Casies, dice di sé ridendo: «A quattordici anni potevo scegliere se fare il prete, il sarto o il cuoco. Avevo degli zii cuochi e ho deciso in seguire le loro orme. Ho cominciato che avevo 14 anni. Ho girato parecchi alberghi e ristoranti. Nell'ultimo, a Caldaro, si facevano 600 pasti al giorno, si lavoravano 10-12 ore. Un incubo. Dopo quell'esperienza volevo cambiare mestiere: era il 1978. Ma prima del grande passo, ho pensato di fare un’ultima esperienza in un albergo a cinque stelle in Austria.

Credo sia stato lì che ho scoperto la passione per questo mestiere che richiede una dedizione quasi totale. Certo, in questo momento va di moda fare lo chef e prevale lo show, ma dobbiamo assolutamente recuperare l'aspetto culturale della cucina. Cosa significa? Tornare all’essenziale, ovvero fare una ricerca che parte dalla materia prima: ciò comporta la valorizzazione dei prodotti locali e quindi dei contadini che li producono. Al cliente bisogna raccontare la storia di un piatto».

La cultura. Anche Michil Costa, patron dell'hotel Perla di Corvara, è un forte sostenitore del binomio cucina-cultura per continuare ad essere competitivi in un mercato del turismo sempre più globalizzato. Nel suo albergo a capo di ogni settore, a partire dalla cucina, ci sono gli stessi collaboratori da 10-20 anni, accanto a loro però ci sono i giovani che arrivano in Val Badia per imparare. «Vengono valorizzati e coinvolti - assicura Costa - anche nell'elaborazione dei menù, perché portano novità e creatività. Sarebbe un errore utilizzarli sono per pelare le patate. Certo il lavoro in cucina è pesante sia fisicamente che psicologicamente, ma sono convinto che regali anche grandi soddisfazioni”.

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