Guida Espresso: Alto Adige, vini al top ma il Trentino cresce

La sfida regionale in bottiglia finisce 19 a 8. Ma a sud di Salorno si sperimenta con successo il vino in “anfora” naturale


di Angelo Carrillo


BOLZANO. Un po’ parenti un po’ serpenti: come ogni anno con l’arrivo delle guide dei vini scatta automatico come le tempeste autunnali il confronto tra Alto Adige e Trentino. Un paragone impietoso quanto spesso fuori luogo, trattandosi, nonostante la vicinanza geografica, di due sistemi vitivinicoli che da un punto di vista geografico, organizzativo, e anche storico, sono spesso agli antipodi. Eppure neanche questa volta scampiamo del tutto alla tentazione.

Con qualche sorpresa. Se infatti numericamente non c’è battaglia neanche in questa edizione con ben 19 bottiglie altoatesine piazzate in cima alla scala gerarchica dell’enologia nazionale contro le 8 trentine, è proprio il Trentino che a guardare bene sembra rivelare un dinamismo che l’Alto Adige si sogna. C’è lo raccontano i curatori della guida quando affrontano il tema più attuale e scabroso dell’enologia di questi anni: quello dei vini naturali.

Se infatti in Alto Adige l’argomento “anfora ”(i cosiddetti vini naturali vengono affinati spesso in anfore di terracotta) non sembra interessare per davvero nessuno e tantomeno scaldare gli animi, l’argomento in Trentino è sulla bocca di tutti. Grazie ai soliti pionieri , Elisabetta Foradori in testa. L’argomento piace molto sotto la chiusa di Salorno dove vari vignaioli stanno sperimentando forme estreme di vinificazione senza aggiunta di solfiti e trattamenti in bottiglia. Ne risultano vini che ai primi assaggi si sono dimostrati di grande interesse, anche se non sempre del tutto convincenti.

Eccone pescando dalla guida un esempio della stessa Foradori: la regina del Teroldego quest’anno non ha presentato il re dei vini rossi non ancora pronto per i tempi della guida, in compenso ecco il goloso rosso Ciso 2010, frutto di un lavoro corale con i colleghi “dolomitici” il gruppo di vignaioli trentini più all’avanguardia (da uve della tradizionale varietà enantio di una vigna centenaria presso Ala) “originalissimo all’olfatto: cola, chinotto, erbe, radici, molto pepe: palato succoso, vivo, tonico, tannini saporiti e un finale goloso, speziato, bevibilissimo”.

Saranno questi i vini del prossimo futuro? Una risposta meno estrema e teutonicamente razionale la danno gli altoatesini da anni impegnati nella viticoltura di impostazione biologica o biodinamica. Qui negli ultimi lustri pur con tecniche che in cantina sono più convenzionali, il lavoro nelle vigne è stato portato a buon frutto.

Ne sono testimoni pionieri come Loacker sempre più saldo nella proposizione di vini che oltre al valore ecologico in vigna offre una beva convenzionale e sempre più convincente. Ma anche la cantina Stachlburg pur in Val Venosta realizza vini biologici certificati che non si distinguono per pulizia gustativa da quelli convenzionali. Parlando sempre di novità ci convince sempre meno l’uso a nostro avviso infausto delle tecniche di ripasso o appassimento per i grandi rossi.

Per intenderci l’applicazione del modello Amarone a vini nobili come il Teroldego. Se infatti sperimentatori come Eugenio Rosi grazie a questa tecnica hanno donato nuova vitalità a un vitigno difficile come il Marzemino, alterare il carattere fiero e virile di un’uva come il Teroldego donandole in vinificazione una dolcezza posticcia ne muta inesorabilmente i caratteri aristocratici in volgare “beozìa” buona per ogni occasione.

Così in Alto Adige rincorrere troppo le mode espiantando ogni lustro i vigneti per piantare l’ultimo vino che piace alle guide non sembra una politica particolarmente lungimirante. Ne fanno la spesa grandi vitigni come il Pinot Bianco, un vino non di impatto immediato, che ha bisogno di tempo per esprimersi al meglio, anche e soprattutto quando è in bottiglia, ma che proprio grazie al tempo sa esprimere una ricchezza e una profondità come pochi altri e soprattutto in Alto Adige. Chiuso i cahiers de doléances torniamo alle note positive che riguardano le migliori cantine italiane.

La guida dell’Espresso premia con il massimo riconoscimento una cantina altoatesina e una trentina: i Produttori di Terlano e il colosso della qualità Ferrari. Per concludere se in un Trentino che negli ultimi anni ha subito la crisi del suo modello cooperativistico che copre l’80 per cento della produzione dei suoi 10 mila ettari l’eccezione dei vignaioli si sta dimostrando la miccia capace di innescare piccole rivoluzioni positive, in Alto Adige nonostante differenze e distinguo e qualche litigio interno il comparto marcia compatto senza grandi slanci ma anche senza pericolose frenate. Almeno fino ad ora. E per il futuro? La risposta, chissà, nella prossima guida.

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