I commercianti: Talvera, no ad altri bar

Amort (Unione): «L’identità dei Prati non va stravolta, sono una cosa unica. Più eventi culturali per il rilancio»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. «Riempire i prati? No, meglio di no. È il vuoto la loro bellezza. L'essere liberi, trovare lì lo spazio che non c'è più altrove». Ma non è che lo sono troppo Amort, troppo vuoti e quindi troppo bui? «I prati vanno difesi. Più controllati magari. Ho sentito anche che si vorrebbe metterci più bar, ristoranti. Ma Bolzano è una delle città più affollate di esercizi pubblici, ne abbiamo uno ogni venti metri. Basta. Non è che bisogna sfruttare ogni spazio per fare soldi...». Ecco la voce dell'Unione commercio. Minimalista e frugale. Walter Amort, il presidente dei commercianti bolzanini ha un'idea per i prati. Ma non è quella di metterci più tavolini, di trasformarli in una piazza Walther verde. Di aumentare gli iscritti all'Unione ai bordi del Talvera. No. Chiede infrastrutture. Ma legate alla cultura e agli eventi. Trasformare le rive in un luogo in cui accade quasi sempre qualcosa e per il quale vale la pena arrivarci.

Da dove si comincia?

«Magari dall'idea lanciata da chi lavora in corso Libertà. Una via che rischia di essere lasciata sempre più a se stessa. Nonostante le promesse municipali di rivitalizzare i quartieri oltre il centro storico».

Parla dell'area nella zona a ridosso di parco Petrarca?

«Una buona cosa. Lì ci sono già situazioni "costruite", non si andrebbe a toccare verde pulito e libero. Immaginare in quel luogo abbastanza appartato una stagione teatrale all'aperto, cartelloni di iniziative legati ai giovani o agli studenti, oppure alla terza età... Poi, una volta fatto lo sforzo iniziale, la gente ci andrebbe con naturalezza magari con iniziative private, piccoli eventi».

E così i prati riacquisterebbero anche il loro ruolo di cerniera urbanistica tra città vecchia e nuova.

«Questo sarebbe uno dei risultati. Perché è assolutamente evidente come tutte le attività commerciali del corso soffrano di questo stacco innaturale prodotto dal ponte. E il Talvera tornerebbe ad essere un ponte esso stesso».

Ma servono le infrastrutture pubbliche.

«Bastano le infrastrutture leggere. Non invasive. Quell'arena, in quel posto, risponderebbe a tutti i requisiti».

Dunque lei è contrario a immettere nuovi esercizi commerciali. Non porterebbero più vita?

«Sui prati serve fare un ragionamento molto realistico tra costi e benefici. I costi di una immissione di bar o ristoranti in quella zona sarebbero superiori ai vantaggi».

E per quale ragione?

«Sarebbe un colpo mortale al valore aggiunto dei prati. Intaccherebbe il senso della loro presenza urbana. In ogni città civile ci vogliono aree vuote. Ma nel senso proprio del termine. Le grandi capitali, come Londra o New York, hanno prati sterminati in cui la gente si sente come in campagna, in mezzo alla natura. Non hanno infrastrutture visibili ma soprattutto non hanno esercizi commerciali. I prati danno a Bolzano questa certa aria internazionale proprio perché sono vuoti. Poche altre città piccole e medie possono contare su una presenza simile nel loro tessuto urbano».

È questo che intende per costo ...

«Una perdita di identità è un costo. In questo caso un costo non più recuperabile, perché sarà impossibile, una volta riempiti i prati, liberarli di nuovo. Tornare a renderli vuoti».

Ma c'è un nuovo problema di sicurezza indotto proprio dal loro essere come sono.

«Problemi di sicurezza legati a cattive frequentazioni o all'immigrazione incontrollata si registrano anche in altri parchi bolzanini. E si tratta in molti casi di giardini vicini a bar, a negozi o addirittura a stazioni. Quindi il problema non si risolve con un caffè in più o in meno».

E con quali interventi?

«Facendone una continuazione della città come eventi attrattivi. Un'arena, una serie di iniziative legate alla cultura, alla società».

Ma in cui dovrebbero intervenire anche i privati?

«Naturalmente si, ma non come iniziative private in senso commerciale. Associazioni, gruppi sociali, società sportive potrebbero essere chiamate ad uno sforzo di fantasia».

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