I ragazzi di via Torino Ballo e “stecca” al Trocadero

Le foto di Ermanno Russo raccontano i giovani bolzanini degli anni ’50


di Luca Fregona


BOLZANO. Decine e decine di foto, forse centinaia. Gli anni Cinquanta in bianco e nero tra via Torino e piazza Matteotti. Un grande album, alto come un’enciclopedia, tenuto con cura. Quasi una reliquia. Dentro c’è la storia di una famiglia. Ma anche quella della Bolzano “italiana” dei quartieri. E della generazione del dopoguerra.

Ermanno Russo “volta” pagina dopo pagina. Solleva i fogli di carta velina che proteggono le foto. Punta il dito su volti, vetrine di negozi scomparsi, porzioni di marciapiede... Racconta storie, aneddoti, snocciola nomi su nomi. «Ho visto sul giornale le foto del Palaghiaccio di via Roma -. Mi son detto: perché non far vedere anche le mie?». Ermanno Russo ha 77 anni, suo nonno Nunzio, è arrivato qui dalla Sicilia con moglie e figli nel 1920. Mandato dal Regno a dirigere il primo posto di polizia italiana a Bolzano. Poliziotto era anche il papà di Ermanno, Edmondo. Poliziotto fascista nell’Italia fascistissima. Per otto anni nella guardia personale di Mussolini.

La mamma Alma Rita nel 1942 apre, forse, il primo bar di Via Torino, il “Trocadero”. Insieme al marito, che nel 1950 lascerà per sempre la Polizia, gestirà un serie di locali che hanno fatto storia a Bolzano: il Rosso e nero in piazza della Mostra («oggi c’è la Btb»), il Bar Juventus, il Gries, il caffè Wanda... «Il Trocadero è stato uno dei primi bar della zona a mettere i tavoli da biliardo. Mi ricordo ancora quando sono arrivati dopo la guerra. Il fornitore era uno di Bologna. Si chiamava Casari, un comunista tutto d’un pezzo. Ma che non ha esitato, su consiglio di mio padre, ad andare da Padre Pio per salvare la figlia malata di poliomielite...». C’è una foto molto bella di Ermanno con il padre davanti all’entrata del Trocadero. «Adesso lì c’è una farmacia», sospira. Il Trocadero, dove Ermanno si farà le ossa coma aiuto barista, aveva anche uno splendido giardino. «Per due volte, negli anni Cinquanta, ci hanno fatto la festa dell’Unità. Mio padre glielo dava perché a chiederglielo era un suo vecchio amico. Uno che prima era fascista, ma dopo la guerra si era “convertito”, ed era diventato un dirigente del Pci».

Ermanno è bambino nella Bolzano degli anni quaranta, e adolescente in quella dei Cinquanta. Via Torino e piazza Matteotti erano il “suo” mondo. «Io abitavo al 27 (oggi è il 75). Ci conoscevamo tutti, erano case popolari dove abitavano famiglie di poliziotti, carabinieri, finanzieri. Fino al 1950 nessuno si azzardava a rubare niente, potevi lasciare la bici per strada e la porta di casa aperta...». Ermanno snocciola prima il rosario dei cognomi: c’erano i Tinca, i Cirimbelli, gli Ambrosi, i Genova, i Caprioli, i Fazzi, i Barcellona, i Cestaroli, i Tagnin, i Chini, i Turatti, i Sarezari («mantovani, che avevano il panificio»), i Tabiadon, gli Sperandio... Poi quello dei negozi, delle pasticcerie, dei bar, dei chioschi e delle botteghe: la Macelleria Baraldi, il bar Romagnolo, il Moretti, i banchi di frutta e verdura dei Costanzo e dei fratelli Berto. La famiglia Macaman che vendeva “Polli e conigli”. C’era la vineria “Besotti” «dove potevi bere il miglior Caldaro della città, aveva il giardino e si giocava a carte». La pasticceria Bartolomei con il leggendario castagnaccio. Le sorelle Cavagna che vendevano scarpe. E poi Aldo detto “Varechina” perché nel suo chiosco teneva sapone e detersivi. E ancora: la maglieria di Ferruccio e Antonietta Visentini. Famiglie con tanti figli. Un plotone di adolescenti che aveva voglia di divertirsi, sperare in qualcosa e lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra. Nell’album, ci sono le foto del Lido, del Palaghiaccio, delle gite in montagna e dello struscio a Ponte Talvera. «Eravamo spensierati, la vita ci sembrava meravigliosa».

Russo mostra una foto: un gruppo di ragazzi in posa con un cane. «Si chiamava Poldo e ci seguiva dappertutto. Eravamo tutti di via Torino e piazza Matteotti. L’abbiamo fatta nello studio “Veronese”, a metà degli anni Cinquanta. In realtà il fotografo si chiamava Gabriele Gregori. Ha fotografato tutta la strada. Tutti andavano da lui. Di quelli che vedi qui, ormai siamo rimasti solo in due...».

Ragazzi che si facevano le ossa come garzoni di bottega, apprendisti operai o artigiani. Qualcuno studiava da ragioniere o da geometra.

Gli amici del cuore erano Adriano Tenca e Ennio Scarda: «Ci chiamavano i “mitici 3” perché eravamo fortissimi a ballare il rock’n’roll e il boogie woogie. Aspettavamo il sabato per andare nelle sale da ballo al Virgolo o sul Guncina. Tenca imitava alla perfezione le mosse di Celentano...».

E le ragazze impazzivano.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità