Identità multiple, l’Alto Adige di Alessandro Banda

Uscito per Laterza il libro «Due mondi e io vengo dall’altro» Lo scrittore meranese: mi ricordano Pirandello e Pessoa


di Gigi Bortoli


di Gigi Bortoli

In questi giorni è uscito in tutte le librerie d’Italia l’ultimo libro di Alessandro Banda , “Due mondi e io vengo dall’altro (il Sudtirolo, detto anche Alto Adige)” per la collana “Contromano”, Editori Laterza (10,2 euro). Un libro scritto in prima persona che attinge dal proprio vissuto per raccontare la realtà locale.

Dal 2001, con “Dolcezze del rancore (Einaudi), per lo scrittore meranese è il sesto impegno letterario, al quale seguirà in settembre per Guanda, il settimo, “L’ultima estate di Catullo”. E’ doveroso ricordare che Alessandro Banda è nato a Bolzano nel 1963 e che praticamente da sempre vive a Merano. Docente nelle scuole superiori dal 1993, insegna al Liceo pedagogico di Merano.

Alessandro Banda, il suo Sudtirolo o Alto Adige o Südtirol, come lei preferisce, sembra, già a partire dalla toponomastica, una terra di mezzo, un luogo non luogo eppure un luogo, seppur particolare e in ogni caso fuori dagli schemi. È una lettura possibile?

«Questa toponomastica doppia o tripla, come è stato detto tante volte, indica tale identità multipla e ricorda molto da vicino quei personaggi pirandelliani con due o tre nomi o il poeta portoghese Pessoa, che ha creato varie opere attribuendole a poeti diversi con nomi diversi. Il nome, insomma, genera questo spaesamento o effetto spiazzante che non necessariamente deve essere un elemento negativo. Può essere anche positivo. Le tre modalità toponomastiche sentenziano in qualche modo un conflitto che sembra sempre un tema centrale di questa nostra terra».

Quali sono le sue considerazioni in proposito?

«Un conflitto che non ha più ragione d’essere. È come la luce di certe stelle spente: la luce arriva ancora, ma la stella è già morta. Gli attori non sono più due o tre. Sono trenta, quaranta. Il mondo è cambiato. Possibile che non lo sia l’Alto Adige-Sudtirolo-Südtirol? Le lingue che si parlano qui sono ben più di due o tre. Basta leggere i nomi di un qualsiasi condominio. Ormai è una situazione che caratterizza tante altre città non solo d’Italia, ma dell’intera Europa. Sono meravigliato dal fatto che tale conflitto permanga. È come un effetto che sopravvive alla propria causa».

Lei affronta il tema, diciamo così, Alto Adige, in modo del tutto particolare. Evitando accuratamente quanto già è stato scritto. O quantomeno cogliendolo da un punto di vista differente. Di uno cioè che, partendo dal proprio vissuto, riflette su quanto accade a lui direttamente e all’ambiente che lo circonda.

«Mi sono adeguato alla collana di cui fa parte questo volume. Ho visto che altri autori hanno scelto un taglio autobiografico e dunque mi ci sono attenuto. Avrebbe potuto essere un limite esterno, ma facendolo mio ho cercato di trarne vantaggio affrontando il tema da un punto di vista antropologico. Un’antropologia del quotidiano in cui ognuno di noi vive la grande storia attraverso la sua piccola storia. Un racconto, in sostanza, che ciascuno potrebbe fare per riflettere su se stesso e sull'ambiente in cui vive».

Dal suo reportage personalissimo qual è l’immagine degli italiani e dei tedeschi che s’è fatto?

«La mia esperienza con la burocrazia scolastica tedesca è stata certo più positiva che con quella italiana. In generale però non credo che questi italiani e questi tedeschi o questi ladini siano poi così diversi. L’essere umano alla fine è sempre quello. Non mi sembrano poi neppure così diversi questi cinesi, senegalesi, indiani. Siamo esseri umani e basta. E’ banale dirlo, ma è così».

Qua e là, con la sua penna graffiante, non manca di smitizzare diversi luoghi comuni, ad esempio, la presenza di figure importanti che soggiornarono nel nostro territorio. Personaggi usati oggi quasi come manifesto pubblicitario, a partire da Sissi e via via tutti gli altri.

«Ebbene Kafka, ad esempio, venne qui in assoluto anonimato. Fu registrato come impiegato. Nessuno sapeva che era un grande scrittore. Del resto fu scoperto come scrittore dopo vent’anni dalla morte. Anche Moravia era un ragazzo malato che veniva qui a curarsi. Dopo esplose come scrittore. Quello che a me interessa di tali presenze sono le dicerie che ruotano attorno a loro. Soprattutto quelle che riguardano i Vip odierni. Quello che si racconta di loro e che quasi mai corrisponde al vero. Sono però delle belle storie, delle leggende senza fondamento, ma che mi affascinano dal puro punto di vista narrativo. Il libro ritaglia esperienze anche molto private. Temi universali come l’amicizia o l’amore. Sono tratti del mio vissuto che forse, ma non necessariamente, subiscono un’influenza dal contesto altoatesino. Non saprei però se esso sia determinante in questo caso».

Che idea pensa si potrà fare il lettore di questo libro?

«Mi piacerebbe si facesse un’idea diversa di questo luogo rispetto alle guide ufficiali, che pure vanno bene. Vorrei si facesse un’idea inattesa. Che riuscisse ad arricchire il suo sguardo, magari già attento. Si tenga presente che spesso, come è capitato a me, girando assieme ad un forestiero, si scoprono delle cose che al residente sfuggono. D’altra parte m’ha fatto piacere scrivere sulla mia terra. Io sono arrivato qui per un errore burocratico capitato a mio padre, ma ho voluto dire anch'io la mia su questo posto, non sempre e solo ascoltare gli altri. Del resto ho accettato di scrivere questo libro “su commissione”, come avveniva per gli artisti figurativi del passato, con piacere. E poi mi sono tolto, non voglio dire un peso, ma in qualche caso un sassolino che, benché piccolo, mi dava un certo fastidio».

Ed ora il suo prossimo libro, “L’ultima estate di Catullo”. Cosa sarà?

«Sarà un’autobiografia di Catullo, come vista in sogno. Il poeta latino rievoca le fasi della sua vita davanti al lago di Garda. La forma sarà quella del romanzo. Per il resto lascio la sorpresa al lettore».

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