L’intervista

Il campione di paraciclismo Riccardo Laini: «Su sport e disabilità l'Italia è indietro, serve informazione»

L’atleta bolzanino ha appena conquistato il secondo oro nei campionati italiani di paraciclismo su strada. Ora punta ai mondiali, portando avanti le sue battaglie: «I medici mi dicevano di non correre, ma la passione era troppa


Maddalena Ansaloni


BOLZANO. Per i medici non avrebbe dovuto pedalare. Troppo rischioso, vista la rara sindrome - 300 casi in letteratura medica - con cui convive da quando era bambino, e che gli compromette l'uso del piede e della gamba destra. Riccardo Laini, bolzanino di 33 anni, non ha fatto in tempo ad appendere il secondo oro nazionale al muro, che già guarda ai mondiali di paraciclismo, che si svolgeranno a Maniago a maggio. La passione per la bicicletta lo guida da tutta la vita. Da quando, in quarta elementare, ha iniziato a pedalare insieme ai compagni di classe.

In dieci anni di agonismo ha raggiunto innumerevoli conquiste, dal punto di vista sportivo e medico. «Con la bici è migliorata la mia condizione fisica», spiega. Adesso è il punto di riferimento per chi, dopo un incidente, desidera tornare in sella. E porta avanti la sua battaglia perché ci sia più sensibilizzazione su sport e disabilità. Ieri è stato ospite della riunione di redazione.

Il 13 aprile si è confermato campione italiano di paraciclismo su strada, per il secondo anno consecutivo. Si aspettava questo traguardo?

Quando ho visto l'elenco dei partenti ero molto scoraggiato. L'anno scorso eravamo in pochi, quest'anno, invece, la competizione era molto più accesa. È andata bene.

Prossimo obiettivo?

Mi sono iscritto alla coppa del mondo, in cui ho gareggiato anche l'anno scorso. Probabilmente mi iscriverò anche ai campionati su pista, per una questione di vicinanza: sono a Padova.

Quando è nato l'amore per la bicicletta?

Sono sempre stato uno sportivo: nonostante la disabilità ho provato nuoto, calcio e altre discipline. Ho iniziato ad andare in bici in quarta elementare e mi sono subito innamorato. Un po' di tempo dopo sono caduto, facendomi male alla gamba "sana". I miei genitori erano preoccupati, ed ho lasciato stare per qualche anno. Finita l'adolescenza la passione si è riaccesa, quindi ho deciso di tornare in sella. Sono caduto altre volte, ma ad un certo punto i miei genitori mi hanno detto di fare ciò che desideravo, anche contro il parere dei medici.

I medici sconsigliano?

Alcuni dicono che, nella mia situazione, dovrei ridurre il rischio di farmi male. Ma la bici ha migliorato la mia condizione fisica.

Qual è, di preciso, la sua situazione?

Ho una malattia molto rara. Fino ai dieci anni ho camminato senza protesi, poi la gamba è peggiorata. Sono sempre stato in cura al Gaslini di Genova, perché qui non sapevano cosa fare. Lì ho fatto tre trapianti ossei, prima che mi dicessero che l'unica strada era l'amputazione della gamba destra. A Innsbruck mi hanno messo una protesi esterna, decidendo di conservare la gamba. Adesso ho controlli periodici. Ma sono consapevole che prima o poi arriverà il momento dell'amputazione.

Questo la spaventa?

Non particolarmente. Sono preparato. Spero solo di dover stare senza bici il minor tempo possibile.

Qual è stato il suo percorso nell'agonismo, e quali ostacoli ha incontrato?

Iniziando ad andare in bici sempre di più intorno ai vent'anni, ho deciso di partecipare a qualche gara con i "normodotati". Ad un certo punto ho deciso di informarmi sul paraciclismo, e dopo mesi di ricerche, mi sono tesserato con una società della val Venosta, che raggruppa tutti gli sport per disabili. Ma anche lì le informazioni non erano tantissime. Adesso corro per Camin bike, e gareggio sempre di più. Solo che è un mondo ancora molto difficile, non si trovano sponsor, non ci sono fondi, e in generale manca molta informazione.

L'Italia, e l'Alto Adige, sono indietro rispetto al resto dei Paesi?

L'Italia sul ciclismo paralimpico è molto indietro. Per la Germania e l'Inghilterra gareggiano circa sette, e dieci atleti, con la maglia della nazionale. Noi italiani siamo iscritti in tre, tutti singolarmente. Un gran peccato, visto che quest'anno abbiamo i mondiali in casa. Per quanto riguardo l'Alto Adige, l'informazione è zero. E mi ha sorpreso essere l'unico altoatesino ad andare ai campionati nazionali. Ci sono diversi atleti che hanno subito incidenti, e trovano difficoltà ad inserirsi nel mondo para sportivo. Servirebbe più sensibilizzazione.

Le è capitato di aiutare qualche atleta con difficoltà?

Alcuni, soprattutto dopo aver subito incidenti, mi hanno contattato per passa parola. Adesso sto seguendo un ragazzo che ha perso l'uso del piede. Io con la mia disabilità convivo da tutta la vita, per chi subisce traumi, è difficile tornare a fare sport, soprattutto dal punto di vista psicologico.













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