Il cittadino Durnwalder


Paolo Campostrini


Ai sudtirolesi non può essere chiesto di amare l’Italia per legge. Ma sono state proprio le leggi di questa Italia che hanno consentito a tre generazioni di altoatesini di amare la terra che li ha accolti e ad altrettante di sudtirolesi di godere di un autogoverno senza pari. Ed è questa l’Italia che ricorda i suoi 150 anni. Non solo quella di Vittorio Veneto; non certo quella di Tolomei. Non necessariamente quella di Bezzecca o di Solferino. E’ un’Italia che ha saputo farsi amare perchè tenta di riannodare i fili che uniscono chi ci vive oggi. Che sono la democrazia conquistata con la Resistenza e non imposta dalla pace dei vincitori come a Vienna; il rispetto delle minoranze politiche; il coraggio di (con)cedere pezzi del proprio potere in nome della pacificazione dei suoi confini. Ci possiamo riconoscere in tanti in questa Repubblica. Anche chi non l’ha mai amata. Anche i sudtirolesi. Perchè non è più neppure la Repubblica di De Gasperi: quella di una democrazia ancora giovane che tentava di chiudere i tedeschi tra l’incudine dello Stato centralista a Bolzano e il martello dei trentini nella Regione del primo Statuto. E’ la Repubblica del Pacchetto.
Che ha perduto consapevolmente grandi porzioni di governo del territorio in nome di un alto concetto di democrazia. Sostanziale, non formale. Che ha scelto di perdere consensi per i suoi partiti-guida sapendo di riversarli sulla Svp di Magnago e Benedikter. Che ha concesso denaro e tasse.
In questa Italia tutti possono riconoscere una parte di sè. Perchè è un’Italia che ha scelto di includere le sue articolate esperienze formative, non di eleggerne una da imporre erga omnes. Dentro la democrazia repubblicana ci stanno Garibaldi e Rosmini, don Sturzo e Spadolini, i morti di Marzabotto e i martiri di Belfiore, Magnago e Mayr Nusser, le missioni di pace degli alpini e le libere università. A Durnwalder sarebbe bastato scegliere una di queste. Perchè l’Alto Adige di oggi non esisterebbe senza questa Italia. E neppure lui. Dice la Bibbia: se solo uno di voi crederà in me, io salverò tutti voi. E’ difficile pensare, mutatis mutandis, che Durnwalder non riesca a farsene piacere neppure una di quelle esperienze. E in nome suo, riconoscere nell’Italia 2010 qualcosa da salvare. Per consentire a tutti noi almeno di esserci, a Roma quel giorno. Non in quanto sudditi ma in quanto cittadini.
Il cittadino Durnwalder. Come nella Francia repubblicana. Non avrebbe di che vergonarsi il Landeshauptmann: lui è libero di andarci o no. E’ libero di starsene a casa sua il 17 marzo. Di dire quello che vuole. Ma come cittadino. Come presidente no. Non avrebbe dovuto. Perchè rappresenta una istituzione nata da questa Repubblica. E esserci, a Roma, avrebbe significato non solo onorare la Repubblica ma anche onorare l’istituzione Provincia. Per questo Durnwalder ha sbagliato. Perchè rappresenta tutti i cittadini e gli tocca di interpretarne le diverse sensibilità. E’ chiamato a questa incombenza per il ruolo che riveste non per scelta ideologica. Il suo trisavolo forse ha combattuto a Bezzecca, contro le camicie rosse; forse, come i Bossi Fedrigotti, è stato raggiunto al fronte da una lettera da Falzes in cui gli si chiedeva: «amore mio, uccidi Garibaldi». 130 anni dopo, nessuno chiede a Durnwalder di amare Garibaldi. E neppure di festeggiarlo. Gli si chiede semplicemente di stare al suo posto. Di fare il presidente di una provincia che deve molto all’Italia di oggi, se non a quella di allora. Di assumersi la responsabilità politica di rappresentare i suoi amministrati. Sbaglia la Svp a non distinguere tra partito e istituzione. Anche Berlusconi sa che deve muoversi il 25 aprile. Anche Spagnolli si è mosso per andare a Innsbruck, il giorno delle fantasmagoriche celebrazioni hoferiane. Perchè la Svp riconosce oggi in Hofer non il combattente sanfedista ma il progenitore dell’autonomia. E in nome dell’autonomia anche gli italiani rispettano Hofer. E sanno distinguere tra l’uso che ne fanno gli Schützen e il suo ruolo nell’Alto Adige di oggi. Ecco, per questo la Provincia avrebbe dovuto essere a Roma. Per la stessa ragione per cui alcuni italiani che rivestivano ruoli istituzionali sono andati a Innsbruck quel giorno. Per rispetto non per amore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

l’editoriale

L’Alto Adige di oggi e di domani

Il nuovo direttore del quotidiano "Alto Adige" saluta i lettori con questo intervento, oggi pubblicato in prima pagina (foto DLife)


di Mirco Marchiodi

Attualità