La storia

Il clochard di ponte Talvera lascia la "sua" panchina dopo 7 anni: «Sul ponte ho scritto 15 mila biglietti»

Günther Schmalzl, 63 anni, racconta la sua storia: «A chi si fermava regalavo un pensiero, ma ho deciso di smettere. Dopo il Covid è cambiato tutto”


Antonella Mattioli


BOLZANO. «Quanti biglietti avrò scritto in questi anni? Non li ho mai contati, ma credo più di 15 mila. Tutti su fogli di block notes, rigorosamente a quadretti. Frasi, pensieri, riflessioni in italiano e in tedesco da regalare a chi passava di lì. Da alcuni mesi però ho deciso di smettere. Con la pandemia è cambiato tutto; in particolare sono cambiate le persone. Così, con la fine del 2023, si chiude anche questa pagina della mia vita e voglio ringraziare tutti coloro che in questi sette anni si sono fermati anche solo per un attimo sulla panchina a scambiare due chiacchiere con me. Mi hanno accettato e sopportato senza giudicare». Si chiama Günther Schmalzl, 63 anni bolzanino, ma per tutti è semplicemente il clochard di ponte Talvera. Per sette anni quella panca inserita nel parapetto in ferro dello storico ponte è stata il suo "salotto". Dove è approdato, dopo essere passato da una vita "normale" ad una vita fatta del puro essenziale, scoprendo che in fondo si sta "meglio con meno".

Dalla vita normale a clochard

«Mi sono diplomato - racconta - al liceo scientifico di lingua tedesca, poi sono stato in banca e ho fatto una serie di lavoretti. Fino a quando ho cominciato a capire che si può vivere di poco: un giorno mi si è rotta la lavatrice e non l'ho fatta riparare, stessa sorte è capitata alla lavastoviglie. Ad un certo punto ho lasciato anche l'appartamento: non ce la facevo più a pagare l'affitto. E ho cominciato a girovagare tra l'Alto Adige e il Trentino, arrivando fino in Francia».Poi il ritorno a Bolzano e la decisione di andare a vivere sulle passeggiate del Guncina con il sacco a pelo sulla panca di legno vicino alla fontanella. Ci è rimasto fino a quando gli acciacchi hanno cominciato a farsi sentire ed ha dovuto accettare una sistemazione più umana prima nella casa per senzatetto di via Renon; poi in un sottotetto di via Diaz pagato dall'ente pubblico.

La panca con vista sul fiume

«Un giorno sono passato sul ponte e mi sono seduto sulla panchina: in quel preciso momento ho deciso che quello era il posto più bello del mondo. Ti guardi intorno e sei immerso nel verde delle passeggiate; il rumore del fiume; la gente che va e viene. Per molti, soprattutto anziani, ma anche giovani e turisti, sono diventato una sorta di punto di riferimento. I primi ad arrivare però erano i passerotti: la mattina mi aspettavano, perché sapevano che avevo sempre in tasca un po' di farina di polenta grossa. Mi facevano compagnia».Per Schmalzl le ore d'ozio trascorse sulla panca, sono diventate un vero e proprio impegno. Da rispettare sempre: sette giorni su sette; pioggia, neve, afa. Non importava. «Per me era come un lavoro con un orario ben preciso: dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 19. Arrivavo, mi sedevo, e mi presentavo mettendo per terra un cartello con la scritta: "Sono un clochard". C'era chi passava di fretta; chi attraversava il ponte per evitarmi, ma in mezzo alla crescente indifferenza che ormai caratterizza la società, c'era chi si fermava a parlare. Di cosa? Di tutto. C'è bisogno soprattutto di ascolto in un mondo dove tutti parlano e straparlano, ma si è persa la capacità di entrare in sintonia con l'altro, dedicandogli la cosa forse più preziosa che abbiamo: il tempo».

I bigliettini

E come ringraziamento Günther regalava un pensiero, una riflessione scritta su un pezzettino di carta. «In cambio mi lasciavano qualche soldo; oppure qualcosa da mangiare o una camicia, un maglione, un paio di pantaloni. La gente è abbastanza generosa, però non l'ho mai fatto per ricevere in cambio qualcosa di materiale. Il messaggio scritto sulla carta era solo per chi si fermava almeno un attimo. Non avrebbe avuto senso darlo a tutti che poi l'avrebbero buttato via». Günther ha rispolverato anche il suo inglese per parlare con i turisti e lasciare qualcosa di scritto anche a loro. «Qualcuno ha apprezzato al punto di tornare a distanza di tempo a cercarmi. Ma oggi, dopo due anni di pandemia, è cambiato tutto». Cosa significa per il clochard di ponte Talvera: è cambiato tutto?«Dopo il Covid la gente è diventata più chiusa, più egoista. Basta guardare certe facce sulle quali il sorriso compare sempre più di rado. E allora ho deciso che anche per me è arrivato il momento di chiudere. Nel frattempo la mia salute è peggiorata e non mi consente più di trascorrere qui intere giornate». Passerà ancora su ponte Talvera, ma non si fermerà più nel suo "salotto". Lui che ha sempre amato stare in mezzo alla natura, proseguirà verso Castel Roncolo. «Vicino alla vecchia segheria ho scoperto che ci sono cinque gatti. Hanno imparato a conoscermi e a quanto pare apprezzano le mie carezze. A differenza degli uomini, gli animali non sono cambiati dopo la pandemia».













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