«Il doppio passaporto? Dico no a ciò che divide» 

Muser: chiedo come cittadino, cristiano e vescovo di non riaprire antiche ferite


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Mi chiedo: a cosa serve? La risposta è a nulla. Se non a creare nuove spaccature e a far alzare i toni nazionalistici: cosa di cui non c’è assolutamente bisogno. La discussione che si è aperta sul doppio passaporto italiano e austriaco per i cittadini di madrelingua tedesca e ladina dell’Alto Adige rischia di essere molto pericolosa per la convivenza». Nel tradizionale appuntamento con i giornalisti per il messaggio natalizio il vescovo Ivo Muser non nasconde la forte preoccupazione per le polemiche scatenate, solo pochi giorni fa, dall’annuncio del neo cancelliere austriacoSebastian Kurz circa la “possibilità”, prevista nel programma del governo di Vienna, di attribuire la doppia cittadinanza “al gruppo linguistico tedesco e ladino”.

A preoccupare monsignor Muser sono le possibili conseguenze sui delicati equilibri tra gruppi linguistici.

«In questa festa di Natale come cittadino, cristiano e vescovo chiedo che la discussione in merito alla doppia cittadinanza non divida la nostra società, non apra antiche ferite e pregiudizi, creando un clima politico e umano avvelenato che speravamo di aver superato. Costruiamo insieme la nostra società e non lasciamoci separare».

In una parola fermiamoci prima che sia troppo tardi.

«È così. Non scherziamo con il fuoco. Questa è una discussione anacronistica in quanto guarda al passato invece che al futuro. Un futuro che deve coinvolgere tutte le parti della nostra società».

Una società quella altoatesina che ormai non è più rappresentata solo da tre gruppi linguistici.

«È anche per questo che trovo il tutto anacronistico. Viviamo in una realtà sempre più multietnica e multiculturale: accendere la discussione sul doppio passaporto serve solo a far riaffiorare vecchie nostalgie e antichi rancori».

Parliamo di migranti: secondo lei in Alto Adige si fa abbastanza?

«Ci sono singoli e gruppi che si danno molto da fare e li ringrazio per l’impegno e la passione, perché - come diceva il cardinal Carlo Maria Martini - non basta fare qualcosa, ma bisogna fare bene e con amore».

Ci sono però Comuni che non vogliono neppure sentir parlare di ospitare migranti: la Provincia sta cercando il modo di costringerli, minacciando di ridurre i fondi per gli investimenti. Lei cosa dice?

«Che si convertano».

Cosa vuol dire?

«Che problemi di questa portata non si risolvono facendo finta che non esistono e illudendosi che se ne facciano carico gli altri. Le soluzioni si devono trovare assieme. Servono responsabilità e umanità da parte di tutti. La risposta alla crescita in Italia come nel resto del mondo ai pericolosi populismi non può che venire da una società compatta e solidale».

Di questi tempi la Caritas è chiamata a farsi carico di nuove problematiche.

«Su questo non c’è dubbio. Comunque sono soddisfatto del lavoro svolto dalla Caritas. Nel mio messaggio agli operatori ho raccomandato di essere l’indice per la nostra società».

Che significa?

«Evitare che si chiudano gli occhi di fronte a quello che sta accadendo intorno a noi. L’Alto Adige è una terra così ricca che c’è il rischio di non vedere le nuove povertà intorno a noi. Molte sono nascoste e sono il frutto di relazioni naufragate. Sono povertà economiche ma anche povertà di senso della vita e di fiducia».

Qual è l’importanza del dialogo interreligioso?

«È fondamentale per garantire la pace nel mondo. Dialogo non significa andare tutti d’accordo, ma confrontarsi con le diversità dell’altro, nella consapevolezza che dall’altro possiamo imparare. Ciò che non conosciamo ci fa paura e rispondiamo alzando muri e steccati. Non serve a nulla. I problemi e i conflitti si affrontano e si risolvono insieme. Da soli non andremo da nessuna parte; di questo dobbiamo essere tutti consapevoli».

Continua la crisi di vocazioni in una terra un tempo ricca: nel 2018 ci saranno nuovi sacerdoti?

«I nostri sacerdoti hanno un’età media di 69-70 anni. La prossima primavera però ordinerò due sacerdoti. Ma se oggi le vocazioni sono poche dobbiamo interrogarci su quanto avviene all’interno delle nostre famiglie: è quello il primo luogo in cui si coltiva la fede. Fortunatamente si è creata una collaborazione importante con i laici che operano all’interno della Chiesa» .

Dove celebrerà la messa il 24 dicembre?

«Alle 22 sarò nel Duomo di Bressanone; alle 9 di mattina celebrerò la messa allo “Jesuheim” di Cornaiano. È in posti come questo o come il Centro delle cure palliative del San Maurizio, dove vado ogni anno a celebrare la messa durante l’Avvento, che si coglie il significato vero del Natale. Accanto a chi soffre c’è Dio che non ci lascia mai soli. Farebbe bene a tanti fare una visita».















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