Il futuro della nostra cucina Cous-cous, speck e Knödel 

Disciplina sudtirolese, fantasia italiana e cuore marocchino: Mohamed Lamnaour Dall’Alberghiera di Merano alla vittoria di Hell’s Kitchen. E il sogno della Stella


di Angelo Carrilllo


BOLZANO. Sensibilità marocchina e cucina italiana gourmet. La formula che ha permesso al 31enne altoatesino Mohamed Lamnaour di Laces di vincere la sfida di Hell’s Kitchen 2017 (il talent di Sky dedicato agli chef) superando 14 agguerriti concorrenti è, a sentire il protagonista, tutta qui. Ma chi lo conosce bene sa che dietro alla sua breve, e fortunata, avventura televisiva si nasconde ben altro come ha rivelato ieri nella seguitissima diretta web sulla pagina Facebook del nostro giornale. Lamnaour, ospite della redazione dell’Alto Adige, ha risposto in modo diretto e “col cuore in mano” alle domande del direttore Faustini. A partire dalla domanda chiave: «Cosa significa chiamarsi Mohamed in un paese che fatica ad integrare?».

«Io mi sento italiano - ha risposto -, anzi altoatesino perché sono cresciuto qui e ci vivo da 25 anni». Anche se non manca lo spaesamento «perché quando hai studiato e vissuto in Italia ti senti, per forza, italiano», e anche tornare in Marocco, a trovare parenti e amici, è recarsi in una terra «in cui vieni considerato in qualche misura straniero – spiega - nonostante le tue origini siano lì». Come vivere su una linea, «senza mai sapere bene se appoggiare la testa a destra o a sinistra».

Così «la scheggia del Marocco», questo il soprannome che gli hanno affibbiato a Hell’s Kitchen, spiega bene l’agilità tecnica oltre che fisica di Mohammed, tanto apprezzata da Carlo Cracco. «Frutto di una formazione scolastica importante», ha sottolineato Faustini. A lungo sous chef del cuoco stellato Diego Rigotti, Mohamed ha, infatti, alle spalle una formazione di tutto rispetto all’istituto alberghiero Cesare Ritz, una delle quattro scuole professionali in quest’ambito, dell’Alto Adige, l’unica in lingua italiana. Tra le migliori e più apprezzate. Poi ci sono anni di pratica e gavetta in alberghi e ristoranti altoatesini e non. Perché Mohamed è altoatesino da quando ha 6 anni. Parla bene il südtirolerisch, il dialetto della Val Venosta, anche se in maniera meno fluente delle sue due sorelle, adora i canederli che cucina benissimo, anche se, lo speck non lo assaggia per rispetto religioso. «Mio padre – racconta Mohamed – faceva l’aiuto cuoco negli anni ’80 a Solda, mentre ora si occupa di auto e fa il meccanico». La mamma, invece è operaia, lavora ed «l’unica in famiglia che porta il velo».

Anche le sorelle sono occupate nel sistema turistico-alberghiero dell’Alto Adige. «Una fa la pasticcera a Marlengo all’Hotel Cristallo, mentre l’altra è maître all’hotel Europa di Merano». Tutti hanno frequentato la scuola Ritz. «Per noi l’integrazione non è mai stata un problema – spiega lo chef - anche se rispetto agli anni ’80 e ’90 il clima è peggiorato». I tre ragazzi anche se cresciuti in Val Venosta hanno frequentato le scuole italiane a Silandro, dove si sono formate le loro compagnie e amicizie. «La mia è doppia perché frequento sia una compagnia tedesca che una italiana».

Ma il sogno di Mohamed Lamnaour è quello di tutti i cuochi. Aprire un ristorante tutto suo in cui riversare la sua sensibilità a cavallo di due, tre culture: realizzare piatti della cucina italiana in cui si fondano ingredienti e profumi di quella marocchina. Una cucina fusion dalle Alpi al monte Atlante. «In particolare l’uso delle spezie – spiega – che nel mondo arabo e in quello africano vengono utilizzate in grande abbondanza».

Il cumino, ad esempio, che riempie dei suoi aromi balsamici piatti mitici come il cous cous e profuma le carni di manzo o pecora cotte sulla brace. Anche i canederli come detto, e gli schlutzkrapfen rivisitati. Dietro i progetti la non troppo velata speranza di ottenere prima o poi la medaglia cui aspira ogni chef al mondo: la stella Michelin.

Magari a Marrakech, racconta, «dove desidero un giorno aprire un mio ristorante di cucina marocchina rivisitata». Un pezzetto del cuore di Mohamed, infatti rimane lì, sull’altra sponda del Mar Mediterraneo «dove ogni tanto scappo a trovare mia nonna per riassaggiare il pane fatto con il lievito madre e cotto nel forno di terracotta».

E poi i rito del cous cous il venerdì, nel giorno di preghiera, che riunisce in casa tutta la famiglia e le persone del paese. La semola di grano impastata e massaggiata con il burro acido per insaporirla e poi cotta nella doppia pentola forata su un brodo di carni verdure spezie e aromi. Buonissima.

All’Alto Adige dedica l’ultimo piatto nato dalla sua fantasia. Dei ravioli fatti come gli Schlutzkrapfen con un formaggio fresco preparato con il caglio del fiore di carciofo, una polvere di speck per dargli corpo e sapidità e foglie di tarassaco e spinacino per accompagnarlo.

L’Alto Adige ha allevato un nuovo talento della cucina con la serietà sudtirolese, la fantasia italiana e il cuore marocchino.

«Alla faccia dei luoghi comuni che una volta tanto non guastano affatto», ha concluso il nostro direttore Alberto Faustini.













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