Il mistero irrisolto dell’omicidio di Ötzi

Zink, direttore dell’Istituto per l’Iceman: siamo a caccia del movente. La mummia, una miniera inesauribile di informazioni


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Può sembrare incredibile, ma a 25 anni dal ritrovamento, l’interesse per Ötzi e per tutto quello che può ancora raccontarci della vita di 5 mila anni fa, continua a crescere sia tra la gente comune che tra gli studiosi di tutto il mondo. Tanto che se cerchiamo nuovi collaboratori, non abbiamo problemi a trovarli». Albert Zink, biologo e antropologo germanico, dal 2007 dirige l’Istituto per le mummie e l'Iceman dell’Eurac: il laboratorio è al primo piano del civico 14 di piazza Nikoletti (Oltrisraco) e vi lavorano una decina di persone, in particolare biologi ma non solo.

Come si spiega tutto questo interesse?

«Con il fatto che Ötzi è unico da tutti i punti di vista: è una mummia, che a differenza di quelle egizie ad esempio, si è conservato grazie alle particolari condizioni climatiche all'interno del ghiacciaio del Similaun».

Ma prima o poi le scoperte finiranno.

«Sono convinto che continuerà ancora a sorprenderci per molto tempo. E sa perché?»

Perché?

«Lo sviluppo di nuove tecnologie ci consente di scoprire sempre cose nuove che 25 anni fa non si potevano neppure immaginare».

L’ultima scoperta?

«La ricostruzione dei vestiti indossati da Ötzi fatta attraverso l’analisi del Dna di campioni di pelle e pelliccia prelevati dai diversi capi che indossava. Si è accertato così che contrariamente a quanto si pensava il berretto non era né di capra né di pecora ma di pelo d’orso, i gambali di pelle di capra, per il vestito sono state usate pelli di capra e di pecora, la faretra per le frecce era invece di pelle di capriolo».

La più importante scoperta?

«A mio avviso quella fatta, 10 anni dopo il ritrovamento, dal radiologo Gostner che ci ha consentito di individuare, senza più ombra di dubbio, la causa della morte: ad ucciderlo è stata una freccia. Con tecniche sempre più sofisticate di sequenziamento del Dna si è poi riusciti ad aggiungere nuovi tasselli all’identità della mummia. Inoltre, grazie ad uno studio condotto sul suo cromosoma Y, si è scoperto che il codice genetico della madre di Ötzi si è esaurito con alcune popolazioni delle Alpi che non sono più cresciute demograficamente. Quello del papà, al contrario, è invece ancora presente negli uomini di oggi e sono concentrati in particolare in Sardegna e Corsica».

Adesso le ricerche su cosa vertono?

«Stiamo indagando sull’Helicobacter trovato nello stomaco di Ötzi, dopo che siamo riusciti a decodificare l’intero genoma del batterio: vogliamo capire qualcosa di più di questo elemento patogeno. Potrebbe essere utile anche per i malati di oggi che soffrono appunto di Helicobacter, il batterio che può provocare l’ulcera. Si tratta di una patologia piuttosto frequente».

Dell’Uomo del Similaun sapete ormai quasi tutto, qual è la domanda alla quale non siete ancora riusciti a dare una risposta?

«Mi piacerebbe capire perché è stato ucciso».

Ma il movente difficilmente potrà essere svelato dall’esame del Dna.

«Purtroppo è così. È un caso di criminologia. Si era ipotizzato che l’avessero ucciso per derubarlo, ma questa ipotesi sembra esclusa, perché l’ascia, che per quell’epoca aveva un valore enorme, è rimasta accanto al corpo. Ciò significa che il movente era un altro e questo difficilmente riusciremo a scoprirlo».

Oltre ad Ötzi quali altre mummie ha studiato?

«Quelle egizie, ad esempio. In particolare quella di Tutankhamon. Molto interessanti sono anche quelle Sudamericane. Ho studiato la mummia di Rosalia Lombardo, la bambina imbalsamata cento anni fa in Sicilia. Ognuna ha una storia diversa da raccontare e ci rivela particolari di un passato lontano, ma Ötzi, lo ripeto, è unico e per questo è diventato una sorta di modello con cui studiosi di tutto il mondo si confrontano. Ciò spiega le frequenti richieste che arrivano da ogni parte di effettuare nuove ricerche su Ötzi».

A chi spetta decidere se autorizzare o meno?

«La valutazione la facciamo noi dell’Istituto assieme al Comitato scientifico del Museo. Si esamina caso per caso, valutandone l’effettivo interesse. La nostra principale preoccupazione è infatti quella di salvaguardare l’integrità della mummia».

La preoccupa la cosiddetta leggenda, secondo cui su Ötzi graverebbe una maledizione che ha già provocato otto vittime?

«Fantasie. Nulla di più. In 25 anni è chiaro che qualcuno sia morto. Ma la mummia del Similaun non c’entra nulla. Il problema è che nessuno di noi è immortale».

Secondo lei è giusto trovare una nuova casa per la Mummia?

«La struttura attuale non è adeguata, gli spazi sono troppo piccoli. Serve una nuova sede che consenta di esporre anche altri reperti».

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