Il monito di Salghetti: stop ai piagnistei

L’ex sindaco: «Ci siamo chiusi in una torre d’avorio e non ci capiscono: buttiamo giù i muri e basta con le scuole separate» - IL FONDO DEL DIRETTORE FAUSTINI


di Paolo Campostrini


BOLZANO. «Le ragioni dell'autonomia stanno ancora tutte in piedi. Ma se le capiamo bene solo qui e male a Roma e a Bruxelles allora chi sbaglia magari siamo noi». Riecco Salghetti. Anche da sindaco non stava tanto a mediare con le parole. Con Durnwalder, ai vertici, si sentivano volare i piatti. Trent'anni nella macchina amministrativa in Provincia e in Comune, e anche di più dentro un partito che il Pacchetto e tutto il resto l'ha voluto anche a dispetto dei santi ( la maggioranza degli italiani), Giovanni Salghetti vede più di una debolezza nella gestione dell'immagine dell'autonomia: autarchia, poco confronto con l'esterno, autoreferenzialità e freddezza nel tessere relazioni istituzionali. Ma anche nella sostanza: ritardi nel superare le scuole e la cultura separate, difesa ambientale contraddittoria e poca innovazione.

L'autonomia non gode di buona stampa.

«Per molti siamo un mistero. E non solo per colpa nostra. Basterebbe informarsi meglio. A Roma si crede ancora che Trento e Trieste siano vicine. Le ragioni storiche, linguistiche e culturali invece, ci stanno tutte. E anche nel decentramento sono gli altri che dovrebbero seguirci, non Bolzano arretrare. Detto questo abbiamo sbagliato molto».

E dove?

«Nel credere che bastasse fare da soli. Accumulare competenze non serve a garantire solidarietà. Occorre essere meno autarchici, autoreferenziali e mostrarci meno diversi. Pochi si spendono per farsi capire a Roma e a Bruxelles. In parlamento tanti conoscono l'Alto Adige solo per i voti che arrivano dalla Svp. E alla Svp fa comodo farsi valere così. Dovremo tessere relazioni, aprirci, andare in tv. Quando qualcuno dei nostri ci va invece, sembriamo scesi dalle valli».

Solo colpa nostra?

«Non solo certo. Ma in questa epoca così legata all'immagine spendersi, aprirsi al mondo, imparare da chi si vende meglio. Ecco, diamoci da fare».

Per il resto?

«Siamo nel giusto. Anche la Ue si muoverà sempre verso maggiori autonomie territoriali. Cerchiamo alleanze, in Italia e in Europa, facciamo gli umili, mediamo. Perché tutte le ragioni vere stanno con l'autonomia così come l'abbiamo costruita».

Cosa resta da fare, invece, in casa?

Molto. Penso alla scuola. Basta con le separazioni. Abbiamo compreso tutti ormai, che mescolarsi di più non incide sull'identità. Che immagine diamo fuori, in un mondo sempre più globale e mischiato, con i muri negli asili, la cultura separata e gli assessorati divisi? »

Ma si amministra bene...

«In linea generale sicuro. C'è meno corruzione, più rigore. Ma questo è dovuto alla tradizione storica. Nel concreto vedo punti di sofferenza».

Quali?

«La burocrazia e il modo di regolare la società. Quelle della Provincia non sono leggi, sono regolamenti. Pieni di lacci e lacciuoli, tese a tutto definire. E invece si dovrebbe lasciare spazio alla società, ai privati, all'iniziativa. Aprire alla sussidiarietà in tutti i campi. Questo non impedisce che nella difesa ambientale, ad esempio, si siano aperte falle. Troppo cemento, troppo costruito. Nelle valli ma anche in città. La zona produttiva è piena di uffici vuoti e capannoni in disarmo».

Qualcosa sta cambiando.

«Ma servirebbe di più. Abbiamo mezzi e risorse. Si fa poca innovazione. Si crede che basti il turismo e i mercatini. E invece anche i mercatini iniziano a soffrire, perché occorre più qualità e meno quantità ma la qualità, ovunque, si trova solo con la ricerca. Quindi: difendiamo l'autonomia ma impariamo a farlo meglio. E miglioriamola dove possiamo. Perché altrimenti si indebolisce».

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