Il Re Laurino via da piazza Magnago

Provincia e Comune hanno deciso di spostare la statua nel parco della stazione. Caramaschi: «Un gesto di riconciliazione»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Laurino se ne va. E anche Teodorico, il Dietrich von Bern (che poi era Verona) delle saghe nibelungico-gotiche. Non se lo leverà dalla testa, visto che continuerà a schiacciarlo con mani e piedi, ma almeno il re ladino ritroverà le sue rose: via dalla piazza Magnago, di fronte ai simboli del potere provincial-regio, per finire nel parco, tra giardini fioriti. Uno sfratto. Ma gentile. Kompatscher e Caramaschi, mentre discutevano di come riordinare la nostra piccola Tienanmen, l'altro giorno in Provincia, gli hanno trovato casa: di fronte alla stazione, tra il Laurin (l'hotel) e il nuovo, possibile, verde benkiano. La ragione pratica è architettonico-urbanistica. Il nuovo progetto di Stanislao Fierro prevede interventi minimalisti ma che consentiranno alla piazza di aprirsi agli eventi, di diventare luogo libero e simmetrico e si riapriranno le prospettive pensate da Oswald Zoeggeler quando costruì i palazzi provinciali in piazza Stazione: dal primo varco si doveva vedere palazzo Widmann, dal secondo quello del Consiglio. Il monumento, posto in posizione centrale, chiudeva queste prospettive. Poi c'è una ragione più politica. «Bolzano ha depotenziato il monumento alla Vittoria, si prepara a coprire il duce a cavallo con la scritta della Arendt - ha commentato il sindaco - mostrando di voler superare i simboli divisivi: adesso Laurino che si sposta dai luoghi dell'autonomia e del suo governo va nella stessa direzione. Il passato deve passare per tutti noi». Perchè Laurino ha diviso? La prima questione è la sua nascita. «Fu scolpito nel 1907 dall'altoatesino Kompatscher - scrive lo storico Ettore Frangipane - e poi posto lungo il Talvera. Da lì i fascisti lo tolsero nel 1933 per portarlo al museo di Rovereto. Ritornò a Bolzano solo nel dopoguerra...». Il monumento riguarda una saga e dunque un testo leggendario, col re dei nani che abitavano il Rosengarten, sconfitto da Dietrich, il cavaliere. Ma venne edificato in anni di grande frizione tra irredentismo (trentino) e pangermanesimo (tirolese). Dentro il più esteso scontro culturale e politico che contrapponeva il giovane Regno d'Italia e le sue aspirazioni dirette al completamento del disegno risorgimentale, al nascente nazionalismo tedesco che univa la vecchia Austria all'impero germanico e che trovava proprio in Alto Adige allora imperialregio la faglia di impatto. Sono i decenni in cui a Bolzano si edifica il Walther, a memoria delle radici letterarie tedesche e a Trento, subito dopo, si costruisce il monumento a Dante per contrapporvi quelle italiane. Il Laurino, dunque, acquista visivamente e politicamente l'immagine traslata del mondo ladino (e dunque latino, italiano e Walsche) vinto da quello germanico. Un messaggio che, all'epoca, tutti compresero all'istante. Per questo fu poi combattuto dal fascismo e , nel dopoguerra, mantenuto nei giardini del lungo Talvera, subito dopo il ponte, sulle passeggiate. Fu la Provincia a volerlo collocare in un luogo altamente simbolico nei primi anni Novanta. Da qui le polemiche. Che mai raggiunsero i livelli della Vittoria ma che furono comunque intense. Guido Margheri lo definì «vestigia nel nazionalismo» aggiungendo che «la pace non ha un solo prezzo». Voleva alludere al fatto che, depotenziati i simboli fascisti, si sarebbe dovuto fare altrettanto con quelli pangermanisti. Ma non sono state le polemiche, ormai molto sopite, a spingere Provincia e Comune al passo. Ha inciso molto di più la chiara volontà di Kompatscher e Caramaschi di dare un segnale istintivo di riconciliazione generale. Quasi a volersi togliere autonomamente di torno qualunque ostacolo alla futura convivenza. Anche in termini simbolici. Perché pure la nuova piazza Magnago dovrà essere il più possibile aperta. E quel monumento l'avrebbe richiusa.

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