Il vescovo Muser a Vandoies dopo l’attentato: fermare la violenza

Il presule in visita al Centro profughi: atto ignobile, i responsabili vanno presi


di Riccardo Valletti


BOLZANO. Grandi strette di mano e pacche sulle spalle hanno sciolto subito l'imbarazzo. Prima che il vescovo scendesse dall'auto i ragazzi che vivono nella casa di accoglienza di Vandoies, si erano allineati sull'attenti e a testa china sull'uscio quasi fossero stati un plotone passato in rivista da un ufficiale superiore, poi la franchezza del saluto del vescovo ha allegerito l'atmosfera, e si è potuto respirare l'animo con cui si vivono le giornate nel maso Fischer. Corsi di italiano e tedesco, turni di corvée per le pulizie e poi ancora fomazione professionale, un'oretta al giorno al computer per scovare gli annunci ma anche vita sociale, dentro e fuori dalla casa.

I ragazzi si sono raccontati, in un italiano sorprendente considerando che sono sbarcati a Lampedusa meno di un anno fa, e hanno incassato tutta la solidarietà del vescovo. «Spero che si riescano a trovare presto gli autori del gesto ingnobile che vi ha colpiti - afferma Muser prima ancora di varcare la soglia della casa - non solo perché vengano giustamente condannati, ma anche per capire cosa li ha spinti a commettere un azione così, per disinnescare le ragioni di queste violenze».

Il Maso Fischer assume ora i tratti di un simbolo dell'integrazione, prosegue il vescovo: «Il dovere di ognuno di noi è quello di accettare i cambiamenti, di prendere atto che non possiamo e non dobbiamo più pensare che la società possa essere ermetica». Una visita breve, meno di un'ora, ma carica di umanità. Georgi Anphoma, uno dei soli tre cristiani tra i venti ospiti dalle provenienze sparpagliate in tutto il continente africano, ha mostrato a Muser la bibbia che legge ogni sera prima di addormentarsi, nella cameretta mansardata che condivide con altri tre ragazzi, tutti musulmani.

Dallo stesso letto, qualche notte fa ha visto le fiamme della bomba molotov lanciata sul suo balcone. «Da allora non siamo più tranquilli come prima - confessa Andrea Tremolada, responsabile Volontarius della struttura - stiamo sempre sul chi vive, e se un'auto fa due volte il giro della strada diventa subito sospetta, prima non ci facevamo neanche caso». Meno di un metro più a destra o a sinistra e la bomba avrebbe centrato una finestra, rabbrividiscono tutti solo al pensiero. «Anche i carabinieri ci hanno consigliato di stare tranquilli ma con un occhio solo - racconta Roberto Defant, addetto alla comunicazione dell'associazione - nessuno è in grado di garantire che non ci riprovino». Intanto i ragazzi accompagnano il vescovo in giro per la casa. Nel soggiorno ci sono i disegni appesi al muro, tratti infantili di colori pastello che ritraggono praterie e fiori e farfalle come quelli che si potrebbero ammirare in una qualunque classe elementare altoatesina; sono il loro modo di esprimersi là dove la lingua non li aiuta.

La visita del vescovo si conclude con una benedizione semplice, nel rispetto del mosaico di religioni che convivono nella casa. «Questa vale per tutti», sorride Muser mentre impone le mani, e tutti accettano di buona lena, chinando il capo in segno di rispetto, poi un saluto e la visita finisce. Le parole di Muser hanno portatao fiducia, nel maso dell’attentato ora si respira un’aria quasi di festa.

La tensione si allenta. Si parla di calcio, di basket, un gruppetto si è affezionato ai carabinieri delle stazioni di Sciaves e Vandoies e scatta qualche foto con i comandanti. Amadou Biallo e Dia Aliou Bemba si sono messi un po' più in tiro: sono invitati a pranzo dai vicini del maso in fondo alla strada. «Volevo mettere la cravatta ma poi ho lasciato perdere», ride Amadou con Roberto Defant, che gli aveva insegnato a fare il nodo. Fuori si chiacchiera con aria più rilassata, stando sotto i balconi per ripararsi dalla pioggia. «Cerchiamo di imparare le lingue il prima possibile - racconta il giovane Ahmed - perché vogliamo riuscire a comunicare con gli altri, dobbiamo trovare un lavoro». Nella Tripoli di Geddafi avevano tutti una professione: «C'era lavoro per tutti, falegnami, muratori, idraulici, ora c'è solo fame».

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità