Il vincolo paesaggistico andava lasciato

BOLZANO. La notizia della cancellazione del vincolo paesaggistico a tutela del giardino interno di Palazzo Campofranco, avvenuta con delibera della giunta comunale, lascia perplessi per una serie di...


di Umberto Tecchiati*


BOLZANO. La notizia della cancellazione del vincolo paesaggistico a tutela del giardino interno di Palazzo Campofranco, avvenuta con delibera della giunta comunale, lascia perplessi per una serie di ragioni. Anche a prescindere dagli ovvi motivi che avrebbero dovuto suggerire di conservare la protezione di uno degli angoli più romantici e suggestivi di Bolzano, stupisce che essa sia stata tolta in vista della realizzazione di un supermercato sotterraneo e un ristorante. È infatti a nostro avviso evidente che un utilizzo di questo tipo male si armonizzerebbe con le caratteristiche architettoniche e ambientali di questo giardino. Si tratta inoltre di un “insieme” la cui tutela è regolamentata al punto 28 “Piazza Walther” del documento di “Tutela degli insiemi” redatto dagli architetti Weber e Constantini e adottato dal Comune nel maggio del 2007. La conservazione del Gingko biloba e la sua promozione a monumento naturale non bilancerebbe il taglio degli altri alberi del giardino, né la banalizzazione del contesto con strutture commerciali sulla cui opportunità in questo punto è lecito esprimere riserve. Lo scenario possibile è inquietante, ma intanto è bene dire che niente è ancora successo davvero, e non possiamo fare altro che sperare che le numerose prese di posizione avverse al progetto sortiscano un qualche effetto su coloro che hanno la responsabilità di decidere. Nessuno è peraltro autorizzato a nutrire generici ottimismi: l’ottimismo, come si sa, è la virtù delle persone male informate. Ma come sempre, quando Italia Nostra veste i panni scomodi (e logori) di Cassandra, lo fa anche per porre una semplice domanda. Perché rinunciare a un regime di tutela esistente? Forse che i motivi che indussero un tempo a imporla, oggi non valgono più? Nel caso lo si dica e si apra una discussione pubblica. Perché il documento di “Tutela degli insiemi” può essere, all’occorrenza, aggirato o eluso? Non è stato rovinato e distrutto abbastanza, prima della sua adozione? Se non è attuale la giunta dovrebbe ripresentarlo al consiglio e alla città, ridiscuterlo, e votarne uno diverso. Ma fingere che non esista non appena qualcuno provvisto dei mezzi e delle entrature necessarie riesca ad esercitare le pressioni necessarie al raggiungimento dei propri - talvolta anche legittimi - obiettivi, è, prima che ingiusto, avvilente e indecoroso per la dignità del potere politico locale e per la città che ne viene amministrata. E ciò vale nel caso in cui il potere politico sia costretto a subire una pressione. Se invece quel potere condivide le richieste che lo inducono infine a deliberare per la cancellazione di un vincolo, dica alla città perché lo fa e quali vantaggi ne derivano alla comunità, cioè a tutti noi.

Se il vantaggio è solo loro, è giusto che la delibera venga invalidata e ripristinato lo status quo ante. Se, come dicono loro, il vantaggio è di tutti, dovremmo essere lasciati liberi di esprimerci al riguardo, ed eventualmente influire perché una decisione sbagliata venga convertita in una decisione giusta. Ma alla fine la domanda che chiunque dovrebbe porsi, a partire da chi ci amministra, è in fondo anche un’altra. Con cosa sostituiamo il vecchio, l’antico che viene distrutto? Sarà il nuovo all’altezza di ciò che rimpiazza? Ci conviene, infine, sbocconcellare, un pezzo alla volta, la sostanza storica di questa città per imporre al suo posto soluzioni architettoniche e funzionali dubbie, equivoche e talvolta decisamente brutte e culturalmente insensate? La città ha bisogno di risposte, ma queste non arriveranno mai, se chi decide non riesce a porsi le domande giuste.

* direttivo Italia Nostra













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