In pensione più tardi: beffate seimila altoatesine

Sono le lavoratrici che con il vecchio sistema stavano per maturare i requisiti. In 1.200 (quelle nate nel 1952) dovranno lavorare quasi cinque anni in più


di Massimiliano Bona


BOLZANO. Primi effetti, anche in Alto Adige, della riforma Monti-Fornero, operativa dal primo gennaio scorso. A rimetterci - per l’innalzamento senza gradualità dell’età pensionabile - saranno innanzitutto 6 mila donne, 1200 delle quali dovranno lavorare addirittura 4 anni e 7 mesi in più. «Per capire la portata di questa manovra - commenta la deputata del Pd Luisa Gnecchi, che fa parte della commissione lavoro della Camera - basta fare l’esempio di una donna che ha compiuto i 60 anni (e maturato il diritto di andare in pensione) il 31 dicembre 1951 e di una donna nata invece il primo gennaio 1952. Quest’ultima dovrà lavorare, appunto, quasi cinque anni in più».

Le cifre. E si tratta di donne che non hanno certo assegni mensili “pesanti”, come si evince dai dati sulle pensioni di vecchiaia liquidate dall’Inps in provincia di Bolzano nel 2010 e nel 2011. «Nel 2010 - continua la Gnecchi - sono state liquidate 1.272 pensioni, delle quali 690 prevedono 500,78 euro mensili e 475 535,88 euro. La media è di 484,89 euro».

Tra le poche eccezioni c’è una dirigente d’azienda che percepisce 3.272,10 euro. Nel 2011 la situazione è migliorata solo di pochi euro. Il numero di pensioni di vecchiaia erogato alle altoatesine è sceso a 959 con una media di 517,42 euro al mese. «Questa prima contrazione delle pensioni - spiega la Gnecchi - è dovuta alla legge 122 del luglio 2010, ma il vero disastro è stato compiuto con la manovra Monti-Fornero». Che ha «punito» anche gli uomini. E in particolare i nati nel 1952.

«È la prima volta nella storia della riforma previdenziale che una classe anagrafica viene penalizzata in questo modo. Ma a pagare il conto saranno anche coloro che stanno ancora lavorando». Anche la deputata del Pd ammette peraltro che nella legge Monti-Fornero ci sono due aspetti positivi: il primo è l’adozione del sistema contributivo per tutti a partire dal 2012 e il secondo l’aumento delle settimane da conteggiare per il calcolo dei contributi. «Erano 2.080 e potranno essere di più».

Se dovesse andare al Governo Luisa Gnecchi si è detta pronta ad adoperarsi «per una riforma vera che faccia giustizia e cancelli gli orrori, in tema di pensioni, succedutisi dal 2008 ad oggi. Bisogna ripristinare subito la gradualità per evitare il ripetersi di simili disparità di trattamento».

I dettagli della riforma. A spiegarli è stato ieri Toni Serafini, segretario generale della Uil. «A partire dal 2013 sono pienamente operative le nuove regole pensionistiche introdotte con la legge 22 dicembre 2011, numero 214. Per la prima volta sarà applicato il sistema dell’adeguamento automatico dei requisiti pensionistici alla crescita delle aspettative di vita.

Dal primo gennaio tutti i requisiti di accesso all'assegno saranno ulteriormente aumentati di 3 mesi e quindi si andrà in pensione con un'età maggiore: gli uomini a 66 anni e 3 mesi, le donne a 62 anni e 3 mesi». Si è passati inoltre al sistema contributivo puro: ciò significa che spariscono le pensioni di anzianità e le cosiddette «finestre».

Un altro aspetto importante della riforma è la progressione dell’aspettativa di vita. «Dal 2013 l’innalzamento è triennale e dal 2019 l’accertamento dell’incremento dell’aspettativa di vita sarà biennale».

La «pensione di vecchiaia» (sistema contributivo puro), per il lavoratore o la lavoratrice il cui primo contributo è stato accreditato dal primo gennaio 1996 si potrà ottenere a 66 anni. «Sì, ma con un requisito contributivo minimo di 20 anni e un importo minimo di pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Dal 70esimo anno bastano 5 anni di contributi effettivi».

C’è poi la cosiddetta «pensione anticipata», che riguarda i lavoratori che hanno iniziato a lavorare presto. Si pensi al classico operaio delle Acciaierie entrato in fabbrica a 15-16 anni. «La pensione anticipata è la vecchia pensione di anzianità e prevede un minimo di contribuzione a partire dal primo gennaio 2013 di 42 anni e 5 mesi per gli uomini e di 41 anni e 5 mesi per le donne. Il legislatore ha previsto però, per chi va prima in pensione, delle penalizzazioni percentuali sull’importo della pensione».

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