Bolzano

Interventi estetici sospetti, dottoressa sotto processo 

La professionista lavorava in ospedale. È accusata di truffa aggravata, falso ideologico e peculato: dalle intercettazioni e dai conti bancari nessun elemento a sostegno del teorema della Procura


Mario Bertoldi


BOLZANO. Per il momento la pubblica accusa non sembra avere trovato alcun indizio concreto a riscontro della tesi accusatoria mossa nei confronti di una dottoressa al tempo dei fatti in servizio nel reparto di otorinolaringoiatra dell’ospedale di Bolzano.

Le intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura ed anche i controlli bancari sui conti correnti della professionista sotto processo non hanno fornito alcun elemento a sostegno dell’imputazione di truffa aggravata, peculato e falso ideologico.

Il processo però va avanti.

In sostanza la dottoressa è accusata di avere gestito una serie di interventi chirurgici che furono addebitati al servizio pubblico sanitario, mentre in realtà avrebbero dovuto essere pagati personalmente dai singoli pazienti in quanto sarebbero risultate - secondo la Procura - operazioni di chirurgia estetica non riconducibili a situazioni patologiche con conseguenze cliniche.

La Procura è forte di una perizia che ha esaminato circa 400 interventi, di cui però solo una parte sono stati ritenuti “sospetti”.

La difesa, affidata agli avvocati Stefano D’Apolito e Michelangelo Ortore, ha sempre contestato in toto il teorema accusatorio, sottolineando che gli interventi chirurgici sarebbero stati solo parzialmente estetici ed effettivamente provocati da patologie. In sostanza a fronte di operazioni più che giustificate per problemi legati alla salute di naso e gola in alcuni casi sarebbero stati effettuati anche interventi di sistemazione estetica (soprattutto a livello di naso) allo scopo però di fornire al paziente una funzionalità corretta della respirazione. Un situazione non rara per il reparto di otorinolaringoiatria.

Per la Procura, però, le prestazioni erogate avrebbero dovuto essere escluse dai livelli essenziali di assistenza (Lea) previsti dal nostro sistema sanitario. La Procura ha contestato all’imputata anche il peculato ritenendo che la dottoressa (che nel frattempo ha lasciato l’ospedale e ora esercita come medico di base) abbia indebitamente utilizzato strutture e risorse pubbliche. La difesa ha chiamato a testimoniare tutti i pazienti dell’epoca per dimostrare che nulla sarebbe mai stato pagato direttamente alla professionista.













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