La crisi sta svuotando le Case di riposo

Le famiglie tengono a casa gli anziani “non autosufficienti” per incassare gli assegni da 1.350 a 1.800 euro al mese


di Valeria Frangipane


BOLZANO. La crisi taglia drasticamente le liste d’attesa nelle case di riposo e taglia i pazienti: sempre meno “non autosufficienti”. Le famiglie, infatti, preferiscono incassare l’assegno che passa la Provincia (da 1.350 a 1.800 euro al mese) ed assistere i loro cari tra le mura di casa.

Carlo Alberto Librera, direttore della Ripartizione case di riposo dell’Azienda servizi sociali, spiega che sta cambiando un mondo.

Quanti posti letto avete a disposizione in tutto?

«Attualmente ne gestiamo 454: 170 a Don Bosco, 96 a Villa Europa, 85 a Villa Armonia, 76 a Villa Serena e 27 alla S. Maria».

Perché sono calati gli anziani in lista d’attesa? «Con l'avvento della legge sulla tutela della non autosufficienza ed il rispettivo assegno, la graduatoria per l'ammissione definitiva in struttura si è stabilizzata progressivamente verso il basso. Si è passati dalle circa 150 richieste di pochi anni fa alle 60 con punte minime di soli 34 richiedenti».

Come mai è successo?

«Gli assegni di cura erogati dalla Provincia hanno fatto sì che molte famiglie oggi scelgano di assistere i propri cari a domicilio».

La novità in cosa si concretizza? «Nel calo del numero complessivo dei richiedenti oltre al fatto che i livelli più gravi di non autosufficienza non presentano più domanda di ammissione e parlo dei livelli 3° e 4° che ricevono l'assegno di cura più alto, rispettivamente di 1.350 e 1.800 euro al mese. Tutti questi non sono più presenti in graduatoria così come stanno scomparendo anche i 2° livelli».

Cosa provoca tutto questo? «Sta cambiando molto rapidamente la tipologia dei residenti: sempre meno lungodegenti a favore di persone anziane con bassi bisogni assistenziali. Almeno sulla carta».

Col personale come va?

«Male. Questo scenario provoca una diminuzione di personale che, per normativa provinciale, è proporzionale alla non autosufficienza dei residenti. Da inizio anno lo abbiamo infatti ridotto del 10% e sempre più velocemente stiamo andando in questa situazione. Questione di fatto insostenibile perché, soprattutto nelle strutture più grandi, non vi sono sufficienti addetti per garantire una adeguata turnazione nelle diverse unità organizzative».

Come vede il futuro? «Lo scenario è tutt'altro che incoraggiante se si pensa che a fronte di un’oggettiva diminuzione di dipendenti le aspettative dei residenti e soprattutto dei familiari sono in costante aumento. Nonostante questo stiamo cercando di mantenere gli standard assistenziali di sempre, con notevole sforzo da parte di tutti, ma non sappiamo per quanto saremo in grado di farcela».

Ma se i pazienti sono meno impegnativi perché non bastano gli assistenti? «Questo è il punto. Spesso gli anziani a cui è stato assegnato un livello assistenziale basso, hanno di fatto bisogni ben superiori e quindi ci troviamo nella situazione di avere il personale proporzionato per assistere dei livelli bassi (sulla carta) a fronte di bisogni reali ben superiori».

Avete una vostra proposta?

«Sì. La Provincia potrebbe pensare di attingere al sistema trentino dove vi è un finanziamento a posto letto e quindi una maggiore stabilità del personale insieme a maggiore autonomia gestionale da parte delle strutture. Il finanziamento adesso è legato al residente e quindi variabile ma se riusciremo a legarlo al posto letto, facendo una media equilibrata, il numero di personale rimarrà stabile».

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