La Curia di Bolzano: "Quattro vittimeaccusano il parroco di pedofilia"

Il vicario generale Josef Matzneller, insieme al vescovo, ha incontrato don Kranebitter  e lo ha messo di fronte alle testimonianze delle quattro giovani donne che hanno chiesto giustizia. Il sacerdote ha ammesso e chiesto perdono



BOLZANO. Ancora ieri i parrocchiani delle frazioni di Sarentino hanno difeso don Alois Kranebitter, hanno protestato contro l’allontanamento del sacerdote deciso dal vescovo Karl Golser.
«Ma è arrivato il momento di ascoltare le vittime», spiega il vicario generale della Josef Matzneller, incaricato di esaminare i presunti casi di molestie e abusi sessuali nella chiesa altoatesina.
E’ dunque Matzneller che, insieme al vescovo, ha incontrato don Kranebitter e lo ha messo di fronte alle testimonianze delle quattro giovani donne che hanno chiesto giustizia. Il sacerdote ha ammesso e chiesto perdono.
In questa intervista don Matzneller racconta come è stato seguito il caso. Secondo la linea di trasparenza decisa dal vescovo Golser, Matzneller conferma «all’epoca la diocesi sapeva di don Kranebitter».
Come siete venuti a conoscenza delle accuse a don Kranebitter?
«Quando a marzo abbiamo chiesto di inviare al nostro sito eventuali segnalazioni, di abusi, quattro persone ci hanno contattato a proposito di don Kranebitter».
C’è anche una inchiesta della procura?
«Sono fatti prescritti per la giustizia ordinaria, ma non per la Chiesa. Il Papa ha chiesto di segnalare i fatti alla Congregazione per la dottrina della fede».
Le quattro giovani donne cosa vi hanno segnalato?
«Episodi riferiti alla fine degli anni Sessanta, quando don Kranebitter era cappellano a Fiè, e negli anni Ottanta, quando era parroco in Val di Vizze».
Violenze sessuali?
«No, nulla di così pesante. Ma è un comportamento ugualmente inaccettabile».
Che età avevano le vittime?
«Primi anni delle elementari».
All’epoca era trapelato qualcosa?
«Sì. A Fiè all’epoca tutti sapevano e parlavano. Ci fu anche una raccolta di firme in favore del sacerdote. Il vescovo Gargitter se ne occupò, chiedendo al sacerdote di sottoporsi a una cura. Questo venne fatto e poi don Kranebitter venne gradualmente reinserito nell’attività pastorale, avvertendo i parroci del suo caso».
Arrivarono segnalazioni anche dalla Val di Vizze?
«Purtroppo sì, ci furono voci anche lì. Per fortuna quando operò a Gudon e negli ultimi anni a Sarentino non è emerso più nulla».
Come spiega il comportamento della Chiesa in quegli anni?
«Erano completamente altri tempi: si cercava di curare il sacerdote, e per le vittime si confidava nel tempo. La frase era “cresceranno e dimenticheranno”. Oggi sappiamo che non è così, la psicologia ci dice che questi traumi possono condizionare una vita intera. Nella Chiesa e tra la popolazione c’è una sensibilità nuova. Ricordo che lo stesso Papa Ratzinger invita a comunicare a Roma ogni episodio».
Lei è il delegato del vescovo per esaminare questi casi. Come vive un passo drammatico come quello comunicato oggi?
«E’ un segnale doloroso, ma dobbiamo farlo, perché è una questione di verità, fiducia e trasparenza. Dobbiamo ascoltare le vittime. In altre istituzioni, come la scuola, un dirigente può dire “non c’ero, non è mia competenza”, ma la Chiesa invece c’è sempre e sente di doversi assume le responsabilità di fatti anche lontani».

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