La politica e i capitani coraggiosi

di Sergio Baraldi


Sergio Baraldi


Se volete un esempio della separazione che sembra emergere in Alto Adige tra la politica e la società dovreste rileggere le due interviste più interessanti apparse in questi giorni sul nostro giornale. La prima è stata quella del senatore della Svp Peterlini, un’analisi penetrante sullo stato dell’autonomia e delle scelte che deve compiere la Svp. Non a caso questa intervista ha aperto una discussione. Ma sia Peterlini sia gli altri rappresentanti del territorio in Parlamento ragionano secondo lo schema dello schieramento: Peterlini teme una deriva a destra della Svp, mentre altri, come Zeller, questo spostamento sembrano auspicarlo. La seconda intervista è quella del quarantatreenne Michaeler, presidente della Volksbank, imprenditore di successo, che parla con franchezza della situazione in Alto Adige. Michaeler affronta temi concreti: il cambio generazionale e la necessità che la politica rinnovi mentalità e classe dirigente, il processo di riorganizzazione che le imprese devono affrontare, l’esigenza per il territorio che il mondo produttivo punti sull’innovazione e sull’export. Michaeler rimette al centro questioni che già altri esponenti di primo piano dell’economia hanno sollevato, come Pan, Ebner, Plattner, Oberrauch e li rafforza con una richiesta nuova: una fase storica si sta concludendo, per aprirne una nuova occorre un cambio di generazione.
Mettete a confronto la politica, che discute del “chi” deve allearsi con “chi”, discussione circoscritta al ceto politico e che certo non infiamma i cittadini, con l’economia che invece apre il grande libro del “che cosa” fare. Michaeler, come gli altri, non nega i buoni risultati del governo. Ma ripropone la domanda che il nostro giornale ripete da tempo: come saremo tra cinque-dieci anni? Il punto è cosa decidiamo ora per allora. Il giovane presidente parla del futuro da costruire in uno scenario europeo e mondiale che cambia, mentre la politica resta ancorata al presente. La politica è presa in un movimento che rispecchia i rapporti di forza tra partiti e gruppi linguistici. L’economia inserisce le questioni irrisolte in un movimento nuovo, ragiona di strategie che, inevitabilmente, coinvolgono la collettività. Contro le speranze di Hegel, non è la politica, e di conseguenza lo Stato locale, che dà una forma generale alla nostra società. E’ l’economia, che dovrebbe essere il regno degli interessi particolari, che si preoccupa di salvaguardare gli interessi del mondo produttivo e per farlo li colloca in modo inedito all’interno di un contesto generale nel quale anche i cittadini sono attori. Il problema della politica è la propria riproduzione. Ha una prospettiva temporale breve, pensa su scala locale. Il problema dell’economia è la crescita. Ha una prospettiva temporale lunga, immagina su scala mondiale.
Dovrebbe essere compito del governo di Durnwalder dare risposte. Ma l’ultimo bilancio provinciale si è rivelato piuttosto deludente. E’ vero: qualche passo viene compiuto, qualche mossa si fa nella direzione auspicata. Ma tutto resta dentro l’impianto vecchio di un Alto Adige che non sembra porsi troppi problemi di risorse e che rimane identico a se stesso, privilegiando i soliti ceti. Non che il modello attuale dell’Alto Adige non abbia prodotto dei successi. Quando li rivendica, Durnwalder ha ragione. Ma la questione è che quel modello sarà sempre meno adatto a tutelare il benessere acquisito. Occorre guidarlo verso un’evoluzione. Per andare dove? Forse non sarebbe sbagliato guardare cosa fanno i migliori. In Alto Adige questo dovrebbe suonare familiare: oggi la Germania è la nazione europea più virtuosa. E’ paradossale, ma l’economia chiede al governo della Svp di essere più “tedesca” e meno “sudtirolese”. La formula vincente della Germania è incentrata sulla specializzazione industriale, sulla esportazione ad alto valore aggiunto, sull’innovazione, sulla riorganizzazione dei luoghi di lavoro con l’uso di nuove tecnologie, sulla formazione. Sul fronte della spesa pubblica, viene perseguito il rigore e un’allocazione più efficiente delle risorse nei settori trainanti di domani. Non a caso anche il presidente di Volksbank chiede una razionalizzazione della spesa pubblica in Alto Adige, intervenendo su sanità, burocrazia, amministrazione pubblica. Il turismo e l’agricoltura restano settori importanti, ma la crescita dei prossimi anni sarà assicurata probabilmente dall’espansione imprenditoriale in nuovi settori, che sappiano sposare tecnologia e qualità ambientale. Se guardiamo ai dati ci accorgiamo quanto l’Alto Adige debba lavorare su questo progetto. L’export cresce bene, ma rappresenta solo il 17% del Pil contro il 33% del Nordest italiano. Come sostiene anche il presidente di Volksbank occorre andare a cercare nuovi mercati oltre confine. Anche se guardiamo all’innovazione, la Camera di Commercio ci avverte che siamo indietro rispetto al Nord d’Italia, persino rispetto a regioni come l’Emilia, la Toscana o il Lazio. Senza contare che pure il Trentino supera l’Alto Adige nella classifica del personale addetto per ricerca e sviluppo. L’ex presidente degli industriali e imprenditore internazionale, Zuegg, ha sintetizzato con un’ironica battuta la situazione: non si può vivere solo di mele.
Se pensassimo al territorio come a un’impresa, guardare al modello tedesco comporterebbe un corollario: “l’impresa Alto Adige” dovrebbe puntare su una maggiore flessibilità interna, vale a dire dovrebbe ristrutturarsi adottando organizzazione e costi che adattino il territorio ai cambiamenti del mercato. La scelta della Provincia sembra “italiana”: punta su una flessibilità esterna, che scarica sulla società la necessità di variare la propria organizzazione e relativi costi alle esigenze del mercato, limitando i propri sacrifici. E’ la scelta della flessibilità esterna che fa dire a molti che la Provincia ha mancato nel 2010 l’occasione per riforme importanti. In genere, questa opzione incentiva le imprese a rimanere nei settori tradizionali, le scoraggia a realizzare investimenti in innovazione, dato che premia il prezzo del lavoro rispetto a quello del capitale. Il metodo “italiano” rischia di far soffrire all’Alto Adige gli stessi limiti che bloccano il Paese. La scelta di una flessibilità interna, invece, favorisce l’accumulazione di capitale e l’innovazione. Ma la Germania sembra lontana e qui la politica appare troppo vicina a Roma: quella italiana gareggia su chi è l’alleato più affidabile per la Svp; la Svp pensa alla concorrenza alla sua destra e fatica ad accettare l’urgenza del nuovo ciclo che bussa alle nostre porte. Le riforme, su questo terreno, segnano il passo. Durnwalder interpreta le critiche dell’economia come una critica politica. Se il presidente non cambia idea a pagarne il prezzo sarà il territorio. Forse la Svp è poco abituata a una generazione d’imprenditori che non ha bisogno della tutela pubblica e che dice apertamente quello che pensa. E’ un segno della modernizzazione della società che produce una crescente autonomia della sfera economica da quella governativa. Se la politica intende recuperare il suo primato - come dovrebbe essere in democrazia - dovrà farlo offrendo risposte efficaci ed efficienti a imprese e cittadini Oggi una generazione di giovani imprenditori, uniti da ambizioni e un comune sentire, i “capitani coraggiosi” dell’Alto Adige, instaura un nuovo clima. Non è detto che un ricambio generazionale basti. Tuttavia, una nuova generazione porta con sé un nuovo punto di vista, una nuova cultura. Sarebbe interessante che ai”capitani coraggiosi” rispondesse una politica che senta l’orgoglio della propria missione: il bene comune.

© RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Attualità