Luigi Rovighi, 11 anni, era inseguito dai nazisti. Coppia premiata alla memoria

LA STORIA/ Salvarono il bimbo ebreo

Due veneti «giusti fra le nazioni». Nascosero un bolzanino



BOLZANO. Per conto dei genitori, giovedì la trevigiana Maria Luisa Gardin riceverà a palazzo Rinaldi (Treviso) la medaglia di «Giusto tra le nazioni», riservata a chi ha rischiato la vita per salvare gli ebrei, come riconoscimento da tutto il popolo ebraico. Nel 1944 i genitori, Pietro ed Elisabetta Gardin, salvarono la vita di Luigi Rovighi, bambino ebreo che viveva a Bolzano. La medaglia sarà consegnata direttamente dal funzionario dell'ambasciata di Israele a Roma: i nomi dei coniugi verranno aggiunti sul monumento «righteous honor wall» al museo Yad Vashem a Gerusalemme. Una bella storia di generosità e amore quella che ha coinvolto le vite dei suoi genitori e del piccolo bimbo ebreo. «I miei genitori hanno salvato la vita di quel bambino che doveva nascondersi e scappare dai tedeschi». Come è avvenuto l'incontro tra la sua famiglia e quella di Luigi Rovighi? «Mio padre Pietro era un imprenditore molto intraprendente. Aveva deciso di aprire una fabbrica a Bolzano. In quel periodo c'erano delle agevolazioni e lui ha voluto approfittare dell'occasione per avviare un'impresa. Mio padre aveva aperto la fabbrica grazie al lavoro del signor Rovighi. Era un ingegnere molto in gamba e si era occupato di tutti i calcoli». In che modo i suoi genitori hanno salvato la vita del bimbo? «Luigi era figlio dell'ingegnere. Erano gli anni della guerra,'42-'43, e i tedeschi in quel periodo prelevavano i padri di famiglia ebrei. Se non trovavano il padre, portavano via il primo figlio maschio. Il padre di Luigi era riuscito a mettersi in salvo ma a casa restavano ancora la moglie con i due figli: un maschio e una femmina. Mia madre stava passeggiando per Bolzano quando ha incontrato la madre di Luigi: era disperata, aveva paura che le portassero via il figlio». Sua madre cosa ha fatto? «Non ha esitato e con mio padre ha detto alla signora Rovighi che avrebbero nascosto loro Luigi. Lo hanno portato a Caerano, dove vivevano i miei nonni materni e dove anche io e mio fratello ci eravamo trasferiti per scampare alla guerra». Che ricordo ha del giorno in cui ha incontrato Luigi? «Era spaventato. Aveva intrapreso un viaggio spaventoso per venire a Caerano. Il furgone che lo trasportava è stato fermato moltissime volte e lui aveva paura di essere scoperto. Luigi era molto più consapevole di me e di quello che succedeva intorno a noi: aveva 10 anni». Come hanno spiegato a lei e a suo fratello l'arrivo del piccolo Luigi? «Mio padre non ci ha spiegato nulla. Però ci aveva istruito bene: dovevamo dire che quel bambino era un nostro cugino di Mussolente. Ma la regola fondamentale prevedeva di non farlo uscire di casa. Mi sento ancora in colpa perché io e Gian Maria (il fratello di Maria Luisa, ndr) uscivamo a giocare in giardino, mentre Luigi si nascondeva dietro al pianoforte. E' stato da noi qualche mese. Quando le acque si sono calmate è tornato a casa dei suoi genitori». Avete mantenuto i contatti con Luigi Rovighi? «Ci siamo ritrovati via Internet». (e.a.)













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