La violenza psicologica è la più diffusa

Kustatscher (Gea): «È subdola, ma punta alla lenta distruzione della vittima. Dobbiamo tutti porci delle domande»


BOLZANO


BOLZANO. Ci sono temi dove i numeri non possono raccontare tutto e le parole rischiano di non essere sufficienti. Questa settimana approfondiamo uno di questi: le donne aggredite e quel terribile neologismo di “femminicidio”. Proviamo, dunque, a mischiare i due mondi con Gabriella Kustatscher, presidente del centro d’ascolto antiviolenza “Gea” che raccoglie la metà dei casi analizzati dall'osservatorio contro la violenza di genere del nostro territorio.

Nel 2015 le donne che hanno raccontato ai servizi o denunciato episodi di violenza sono state in tutto 135. Nel 2014 erano 154, nel 2013 155 e nel 2012 145: parrebbe esserci un miglioramento.

«Spesso ci si chiede se la violenza di genere sia sempre esistita e l'esposizione mediatica la stia semplicemente amplificando. Crediamo davvero abbia importanza questo? Anni fa nessuno si poneva il problema dei minori che assistono a queste violenze mentre oggi studiamo gli effetti sulla loro crescita. Siamo di fronte a un fenomeno collegato a fattori culturali, sottotraccia e difficile da affrontare per le vittime. Ragioniamo su questo perché è nella cultura che troviamo queste radici».

Il 48% delle violenze sono opera di un partner, il 25% di un ex. Il 46% delle vittime sono coniugate, il 31% nubili.

«Nei rapporti di coppia si nascondono spesso meccanismi molto delicati come le dipendenze affettive. È importante non prendere alla leggera certi segnali che possono arrivare ed affidare sempre le donne a personale specializzato perché bisogna intervenire con strumenti interpretativi che non tutti possono avere».

La violenza psicologica è, al contempo, quella più diffusa e difficile da scoprire. Il 38,5% dei casi segnalano questo atteggiamento e le risposte dei servizi vertono all'80,2% su questa tipologia.

«È terribile perché si tratta di volenza nascosta e non subito percepibile. Come si concretizza? Con un partner che ti distrugge lentamente. Ti critica su tutto... come ti vesti, come mangi, quanto ingrassi, come ti poni con le altre persone e finisce con il frantumare l'io di una donna lentamente. La vittima è sempre più incredula, insicura e non sa gestire una progressiva dipendenza. Da una parte si vergogna di essere proprio lei a comportarsi così, dall'altra non sempre ha la forza di ricostruirsi da sola. Ha bisogno di persone che la aiutino e che le stiano vicine nel modo giusto aprendo anche la strada a sostegni professionali stando alla larga dalle semplificazioni e dalle etichette. E' troppo facile sedersi a guardare e dire “Vabbè, ma alla fine se lo cerca e io me ne sarei già andata”: più difficile provare a capire e cambiare prospettiva. Dobbiamo sentirci tutti responsabili in questo perché simili situazioni possono essere dietro l'angolo, anche molto vicine».

Il 77% delle violenze avviene tra le mura di casa e il 68,9% delle vittime non sa quando sono iniziate. Il 28,6% riguarda maltrattamenti fisici, il 12,6% economici e l'11% sessuali. Spesso compenetrati. Nel 62% dei casi sono presenti anche minori e solo il 40% denuncia.

«Sento spesso criticare le vittime perché non denunciano o perché non riescono a uscire da alcune situazioni. La realtà è che spesso sono donne che “danno fastidio” perché ci costringono a porci delle domande. È più facile creare una categoria e vale anche per i carnefici. Si dice “sono pazzi” e si chiude il discorso. Anche gli uomini, invece, dovrebbero costantemente interrogarsi. Non significa certo che siano tutti violenti, ma farsi delle domande aiuta a crescere». (a.c.)













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