Le figlie dei deportati della Zona industriale «I giovani non sanno»

«I nostri padri inghiotti nei lager e mai più ritornati» Cittadinanza onoraria a Manci, commozione degli eredi



BOLZANO. Figlie che ricordano padri. Donne ormai anziane che piangono uomini morti giovani. Le celebrazioni del 25 aprile hanno avuto per protagoniste ieri donne come le figlie di Gianantonio Manci, di Adolfo Beretta, di Erminio Ferrari, la nipote di Girolamo Meneghini.

Manci cittadino onorario. La tappa del 25 aprile in piazza IV novembre per il ricordo di Gianantonio Manci e Manlio Longon, i partigiani morti nel comando della Gestapo, ieri è stata speciale, perché il consiglio comunale ha deciso (con qualche polemica) di conferire la cittadinanza onoraria a Manci. E molti eredi del conte partigiano sono arrivati da Trento, insieme all’assessore provinciale Gilmozzi. Il sindaco Luigi Spagnolli e il presidente del consiglio comunale Guido Margheri hanno consegnato la pergamena con le ragioni della cittadinanza onoraria a Giovanna e Annamaria Manci, figlie di Manci. Commossa, Annamaria Manci ha ringraziato Bolzano per questo atto di risarcimento alla figura del padre: «È un gesto significativo per lui, che si è sempre battuto per la convivenza armonica e pacifica dei popoli. La città di Bolzano è un esempio di questo». Così anche Spagnolli: «Bolzano, capoluogo di incontri, con la cittadinanza onoraria a Manci, un precursore della convivenza, fa un passo in avanti». Si è sempre pensato che Manci, presidente del Cln trentino, morì gettandosi da una finestra del comando della Gestapo di piazza IV novembre per sottrarsi alla tortura. Questa versione è stata smentita, ricorda il presidente dell’Anpi Orfeo Donatini: «Si è trattato di omicidio, come hanno dimostrato le recenti ricerche storiche e scientifiche di Bartolomeo Costantini». E c’era anche Costantini, l’ex procuratore militare di Verona che fece condannare il boia del lager di via Resia, Misha Seifert, ieri a Bolzano per salutare gli eredi di Manci.

Gli operai deportati. Erano lavoratori, la maggior parte di loro operai, Adolfo Beretta, Tullio Degasperi, Erminio Ferrari, Decio Fratini, Walter Masetti, Girolamo Meneghini, Romeo Trevisan, i sette partigiani ricordati nella lapide di via Pacinotti, prelevati dal lager di Bolzano e deportati a Mauthausen e Gusen il primo febbraio 1945 insieme ad altre 500 persone. «È stato l’ultimo treno partito da Bolzano prima della fine della guerra e non sono tornati», ricordano Jole Beretta e Ierta Ferrari, le figlie. «Mio padre aveva 51 anni», dice la prima, «il mio è morto a 39 anni», ricorda Ierta. Hanno seguito il corteo del 25 aprile insieme a Lalla Lanaro Stefani, nipote di Girolamo Meneghini. Jole Beretta si sfoga: «Siamo qui, facciamo il nostro dovere per ricordare i morti, abbiamo una storia da raccontare, ma i giovani non sanno nulla di quanto è accaduto. Fanno impressione le interviste ai ragazzi, e per noi portare queste corone è sempre più faticoso. Finché ho potuto, sono andata tutti gli anni a Mauthausen per rendere omaggio a tutti quei poveri morti». (fr.g.)

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