Lo scontro sullo speck. «La qualità è bassa»

I consumatori: «Troppo sale, bordi essiccati, morbido. Servono controlli esterni». Ma il consorzio replica: tutto in regola, le loro verifiche non sono scientifiche


di Riccardo Valletti


BOLZANO. La perla del paniere altoatesino, il pezzo pregiato dell’agroalimentare da esportazione per oltre sei milioni di pezzi l’anno, lo speck, si ritrova catapultato al centro di un ciclone di accuse e smentite. Da un lato il Centro tutela consumatori e utenti accusa il consorzio Speck Alto Adige Igp di pubblicità ingannevole, sulla base di rilevamenti effettuati negli ultimi mesi a tappeto su tutto il territorio provinciale che restituiscono una qualità del prodotto di molto inferiore a quella dichiarata dal marchio di qualità altoatesino; dall’altra il marchio di indicazione geografica protetta smentisce i risultati raccolti giustificati probabilmente dalla mancanza di metodo scientifico nei rilievi.

Il Ctcu ha acquistato 50 campioni di speck in 15 dei 28 distributori autorizzati alla vendita del marchio Igp, dei quali solo 6 sono risultati completamente conformi alle caratteristiche di qualità pubblicizzate: vale a dire un magro 12% del campionamento, basato su diversi tagli di speck acquistati più o meno in maniera omogenea sul territorio. I «vizi» riscontrati vanno dal troppo sale - ben oltre la soglia del 5% autoimposta dal consorzio - ai bordi del taglio essiccati; taglio mal eseguito; consistenza troppo morbida (a indicare una stagionatura effettuata male o comunque troppo breve); eccessivo pallore della carne. Il rapporto si conclude in maniera lapidaria, chiamando in causa le autorità che erogano i finanziamenti pubblici al consorzio : «In futuro l'erogazione di ogni finanziamento pubblico dovrebbe dipendere da effettivi controlli della qualità, avvalendosi di criteri trasparenti, severi e comprensibili anche per i consumatori. In mancanza di ciò si arriverebbe a prolungare questo inganno a danno dei consumatori con sperpero di denaro dei contribuenti». Insomma non servono autocontrolli ma verifiche da parte di enti terzi.

E il consorzio? Dai dati in possesso della Speck Alto Adige Igp nessuno dei parametri fissati per legge o autoimposti sarebbe mai stato superato. «Dobbiamo assolutamente confrontarci col Ctcu – spiega Michael De Sala – ma per il momento non posso fare altro che smentire tutto il loro lavoro». In ballo ci sono i due milioni e mezzo di pezzi di speck che portano il marchio di qualità, vale a dire un fiume di soldi, che stando al rapporto non sono differenti, e a volte avrebbero addirittura qualità inferiore, dallo speck senza marchio o del contadino. «Credo che le differenze siano causate dalla mancanza di criteri scientifici nel loro lavoro, noi per le misurazioni ci rifacciamo a delle procedure ben chiare, abbiamo addirittura stampato un manuale per evitare misurazioni eterogenee».

Per la percentuale di sale, ad esempio, il rilievo deve essere effettuato su una fetta spessa un centimetro e tagliata nel centro della baffa, «dubito che loro lo abbiano fatto, ed è comprensibile che se hanno misurato la presenza di sale sui bordi possano aver trovato maggiore concentrazione, ma la misurazione va fatta sulla media, e il nostro modo è l’unico certificato». Insomma l’attenzione rimane alta, sconfessare lo speck Igp significa far traballare un bel pezzo di economia altoatesina: «Nei prossimi giorni cercheremo di incontrarci per accordarci sulle procedure di misurazione, sono sicuro che dobbiamo ripetere tutto con metodi condivisi, è molto importante».

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