Melillo, occhio al sociale

Il fotografo di Bressanone maestro della multiculturalità


G. Von Metz Schiano


BOLZANO. Nessuno sa quando in Alto Adige verremo davvero a capo dei problemi di convivenza, ma per intanto pare proprio che la nostra particolare situazione renda alcuni particolarmente attenti alla tematica della multiculturalità e consenta loro di sviluppare sensibilità e capacità professionali atte ad affrontare in modo efficace i problemi ad essa connessi. Un discorso che vale in particolare per il fotografo Giovanni Melillo Kostner che con lo strumento del proprio obiettivo sta diventando un interprete di successo della mediazione culturale. Per segnalarlo si è scomodato addirittura Christian Caujolle, uno dei massimi esperti mondiali di linguaggio dell'immagine fotografica, già photo editor del quotidiano Liberation e fondatore dell'agenzia Vu. Caujolle ha citato Melillo Kostner a proposito del suo lavoro sulla comunità cinese in Alto Adige con il quale egli ha partecipato al Lianzhou International Photography Festival. Nonostante la propria giovane età, Melillo ha già al proprio attivo anche una vasta attività didattica in Europa ed America. Il maggior riconoscimento del suo livello professionale, a parte i molteplici premi internazionali vinti, può essere considerato il fatto che il settimanale germanico «Zeit» gli ha già commissionato vari servizi, primo tra i quali quello sulla spiaggia di Cancun in Messico dopo il passaggio del ciclone Wilma. Esteticamente il valore delle foto di Melillo Kostner consiste nella sua straordinaria capacità di trasporre in immagine i principi del relativismo antropologico con un linguaggio permeato di forte lirismo.
Come è nato il suo interesse per la fotografia?
Da ragazzo avevo una grande passione per il disegno, ma poi mi sono reso conto che quello che mettevo sulla carta non soddisfaceva la mie esigenza di ripresa della realtà che mi circondava. Iniziai a pensare alla fotografia e quando in camera oscura vidi per la prima volta comparire gradualmente nel procedimento di sviluppo una immagine latente (era una ritratto di Modigliani) venni definitivamente catturato. Nel giro di pochi mesi riuscì a risparmiare il denaro che per acquistare la mia prima macchina fotografica e l'attrezzatura per lo sviluppo e la stampa. Comprai anche qualche libro per imparare e rimasi affascinato da un testo di Ansel Adams. Credo che il fatto di aver iniziato a lavorare subito in camera oscura abbia reso il mio approccio con la fotografia molto intenso e completo.
E la sua formazione professionale dove è avvenuta?
Ho avuto la fortuna di studiare in Germania in una delle storiche facoltà di Fotografia e Design, la «Fachchochschule Bielefeld». Lì mi sono diplomato con una tesi su «Il ruolo del fotografo come mediatore culturale». I quattro anni di studio a Bielefeld hanno aperto la mia visione sul medium e mi hanno dato la possibilità di approfondire ed intendere l'atto fotografico come strumento sociale. In questo senso il fotografo che mi ha maggiormente influenzato è stato indubbiamente August Sander. Dal 2008 faccio parte di «Reflexions Masterclass», un gruppo di giovani fotografi di tutto il mondo a cui viene offerta la possibilità di incontrarsi tre volte all'anno e avere a disposizione un «master» della fotografia per alcuni giorni. La selezione dei partecipanti avviene ogni due anni ed è molto rigorosa.
Da cosa parte questo suo interesse per la mediazione culturale?
Indubbiamente da una profonda analisi di me stesso e di quello che sono, frutto di un matrimonio misto tra una mamma ladina ed un papà italiano. Il bello è che da qualche anno la lingua con la quale riesco ad esprimere più compiutamente i miei pensieri è lo spagnolo.
Quali sono i risultati che le danno maggior soddisfazione?
Certo i vari premi e gli incarichi didattici di alto livello, come quello all'Università L'Orientale di Napoli, ma quello che mi inorgoglisce di più e l'essere stato chiamato a far parte di Fotografi Senza Frontiere. Istituiamo laboratori permanenti di fotografia ovunque ce ne sia bisogno. Bisogno di autorappresentazione o di recupero della memoria, bisogno di denuncia o documentazione. La filosofia di FSF onlus poggia sulla convinzione che la fotografia possa e debba generare la forza del vedere, del pensare, del fare, del rendere la comunicazione libera e fruibile per coloro che fino ad oggi l'hanno solo subita. Ci si dimentica che in situazioni di emergenza, oltre al cibo ed alla salute, viene a mancare l'identità. Restituirla a chi l'ha persa è l'obiettivo di Fotografi Senza Frontiere che è attualmente presente in Nicaragua, a El Aaiun nel deserto algerino, in Palestina, Uganda e Panama.

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