Merano, la Fondazione Pitsch raddoppia gli alloggi protetti

Finanzierà in parte e gestirà la nuova struttura di via Toti con la formula “Abitare accompagnato”


di Giuseppe Rossi


MERANO. «Nel settore sociale non possiamo mai permetterci di dire di essere soddisfatti, bisogna guardare avanti, verso nuove sfide, anche se la situazione attuale a mio giudizio è tutt'altro che negativa». Hermann Raffeiner, per anni assessore al sociale del Comune di Merano e ora presidente della fondazione Pitsch, che in città gestisce 204 posti letto in varie strutture destinate agli anziani autosufficienti e non, guarda da una angolatura particolare lo scenario dell'assistenza alla terza età che in queste ultime settimane è al centro dell'attenzione.

Dottor Raffeiner, il piano sociale di Merano parla di una carenza di 80 posti letto nel sociale, come fa a essere soddisfatto?

Quel documento non guarda all'immediato, ma al futuro. Io le cito i dati. La fondazione Pitsch, che presiedo, attualmente ha una lista d'attesa di 15 persone.

Forse però esistono anche meranesi anziani ricoverati fuori dalla città.

Ha ragione, ne abbiamo a Foiana, a Tesimo, a Lagundo ad esempio. E per questo dobbiamo pensare a nuovi posti letto, ma senza caricare troppo il tema con l'urgenza o peggio l'emergenza. L'anziano ha diritto di rimanere a vivere nella sua città. E Merano non può continuare ad appoggiarsi ai Comuni circostanti, deve arrangiarsi da solo.

Anni fa si parlava di convertire il Boehler.

Una ipotesi morta e sepolta.

Ora si fa avanti il Martinsbrunn, che ne pensa?

Si tratta di una struttura della quale Merano non può fare a meno, poi è in una posizione eccezionale. Realizzare li gli 80 posti letto che mancano alla lungodegenza sarebbe ottimo.

Il cambio tra riabilitazione e lungodegenza garantirà gli stessi introiti?

Lavorare con gli anziani e con i lungodegenti non porta guadagno. Vent'anni fa tentammo di convincere una grande società estera a investire sulla lungodegenza utilizzando l'ex hotel Bristol. Alla fine il progetto non venne preso in considerazione proprio per i margini di guadagno ridottissimi.

La fondazione Pitsch su quali progetti è impegnata oggi?

Dopo aver concluso la ristrutturazione della sede di via Palade con un grosso salto di qualità, ora ci concentreremo sul centro St. Antonius.

Come interverrete?

Vogliamo spostare l'iniziativa "la cucina della nonna" dal piano terra al primo piano, riorganizzando così anche i turni del personale. Poi abbiamo un'idea per un giardino d'inverno. A fine febbraio valuteremo le proposte e i progetti poi sentiremo Comune e Provincia per i finanziamenti.

Con l'ingresso del Martinsbrunn nel vostro settore, non sarete più soli.

C'è spazio per tutti. Noi ci dedicheremo al progetto degli alloggi protetti in via Toti.

Il progetto del Comune, intende?

Sì, stiamo discutendo sia di gestione che di finanziamenti.

Vuol dire che la fondazione Pitsch potrebbe partecipare al finanziamento dell'opera?

Ne stiamo parlando con il Comune.

E nel concreto?

La casa potrebbe essere gestita dalla nostra fondazione con la filosofia dell'abitare accompagnati e potremmo aiutare il Comune nel pagamento dell'edificio, al massimo un terzo della spesa.

E' già ora di rivedere il piano sociale di Merano?

Andrebbe rivisto ogni tre anni, ha comunque un contenuto sostanzioso e cospicuo. La sfida però è un'altra, attuarlo.

Lei viene ricordato come l'assessore che difese a spada tratta i servizi sociali contro la fusione che si voleva fare con il Burgraviato.

Sono ancora convinto che fu la scelta giusta, ma non ero da solo. Con me avevo Pino Rossi. Ci chiedemmo, perchè dare ad altri, che nel settore erano all'esordio, un servizio che da noi funzionava benissimo.

L'idea è valida ancora oggi?

Certo. Io non sono un amico del centralismo. E in più sono un fautore della sussidiarietà.

Oggi una fusione con il Burgraviato è pensabile?

Forse qualche forma di collaborazione sì.

Qual'è oggi il punto debole del settore sociale?

La mancanza di personale qualificato bilingue. Anche noi facciamo fatica, abbiamo diversi stranieri preparati, ma con le due lingue non ci siamo. E un anziano ha diritto di essere servito nella sua lingua madre. Quello nel sociale è però un lavoro sempre al limite, ai confini dell'umana persona, per il quale serve una vocazione.

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