BOLZANO

Messner è categorico sulla tragedia della Gran Vedretta «Non dovevano salire»

Al fratello Günther è dedicato il bivacco di partenza per la parete nord . «Quella cima non è così difficile, ma attaccare di notte è stato uno sbaglio»


di Alan Conti


BOLZANO. C’è tanto di Reinhold Messner guardando la Gran Vedretta

Gli amici degli alpinisti colpiti dalla valanga: «La Gran Vedretta l'avevano già fatta decine di volte» Affranti i colleghi del soccorso alpino: «Quella valanga è stata una fatalità». Ampliata l’area delle ricerche: nessun traccia di Seebacher e Zöggeler

. Il bivacco da cui parte la scalata sul ghiaccio alla parete nord, a 2.430 metri, era stato intitolato al fratello Günther e quella salita il re degli ottomila la conosce bene.

«Ricordo che la portai a termine con mio fratello 55 anni fa. Il bivacco è stato smontato e l’ho esposto nel mio museo, ma resta il punto di partenza. Anche i quattro alpinisti colpiti dalla valanga sono partiti da quel punto».

Si è parlato di un’ascesa piuttosto complicata.

«Tutto va proporzionato alle capacità di ciascuno. Per la preparazione fisica e l’esperienza maturata io non ritengo fosse una scalata particolarmente complicata per loro. Ciò non toglie che io non l’avrei mai attaccata».

Perché?

«Prima di tutto perché a 40 anni non devi per forza dimostrare che sei in grado di superare la Gran Vedretta, poi perché oggi c’è una diffusa sottovalutazione delle salite. Non credo fosse necessario avventurarsi in una simile avventura, per di più con queste condizioni».

Non è un po’ duro?

«No perché non possiamo mai dimenticarci l’importanza della preparazione. Prima di fare questa parete devi avere alle spalle almeno un migliaio di salite. Posto che le avessero rimangono alcuni errori di valutazione».

Quali?

«Prima di tutto attaccare di notte. Con il buio non si saranno accorti delle effettive condizioni atmosferiche. Sabato, oltretutto, non era una giornata perfetta in val di Vizze. In questo periodo, poi, la neve non è salda e il pericolo di una valanga simile esiste. Se ci aggiungiamo il vento il quadro è preoccupante. Parliamo di slavine violentissime».

Impossibile resistere?

«Impossibile. Ti arriva addosso a una velocità che può anche essere superiore ai 200 chilometri orari. È come un treno. Soprattutto se, come sembra, era composta da neve fresca con granuli. Sarò cinico, ma io penso che ci siano scarsissime possibilità di ritrovarli vivi. Purtroppo ho paura che siano finiti in un crepaccio».

Travolti dalla slavina: le vittime sulla Gran Vedretta

Tutti e quattro originari dell'altopiano del Renon, tutti e quattro grandi appassionati ed alpinisti esperti. La slavina caduta sulla Gran Vedretta in Alto Adige ha spazzato via quattro amici che andavano insieme da sempre in montagna. I soccorritori hanno recuperato i corpi di Peter Vigl, 44 anni e Thomas Lun, 40. Risultano ancora dispersi, ma non ci sono sperenze di trovarli in vita, Ulrich Seebacher, 40 anni, e Andreas Zoeggeler, 40. Tre di loro (Vigl, Seebacher e Zoeggeler) facevano parte del soccorso alpino del Cai (Cnsas) di Renon. L'articolo

Si è discusso, invece, della scelta fatta da Vigl, Lun, Seebacher e Zöggeler di salire slegati tra loro.

«Ecco, questo invece non ha nessun senso perché è assolutamente la scelta migliore da fare in uno scenario del genere. Si tratta di una valutazione sulla durata di esposizione al rischio. Senza la corda abbatti i tempi e riduci effettivamente la pericolosità. Anche nelle salite sugli ottomila metri mi è capitato spesso di scegliere questa opzione. Non si può imputare nessun tipo di errore ad una scelta che è stata saggia. Ripeto, fisicamente erano in grado di farla e non penso che fosse una scalata particolarmente complicata per loro».

Quanto è difficile allenare la percezione del rischio?

«La soluzione è semplicemente dare sempre grande peso all’esperienza e non rincorrere grandi affermazioni personali. Certe pareti vanno affrontate quando sei anche perfettamente in grado di rinunciare in qualsiasi momento».

Renon, sull'Altopiano i luoghi delle vittime della valanga

Le case, gli uffici e la chiesa: ecco dove vivevano Thomas Lun, Ulrich Seebacher, Thomas Vigl ed Andreas Zoggeler (Foto Matteo Groppo)













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