Monumenti: cervelli a perdere


Mauro Fattor


Sul frontone di Piazza del Tribunale e sulla monumentalistica del Ventennio i giochi sono fatti. Vince Durnwalder. E vince la Volkspartei. Loro dettano la linea, gli altri si adeguano. Ridicolizzato il Pdl, evaporate le resistenze residue del Pd. Questo sul piano politico-partitico. Tutto piuttosto semplice dunque, facile capire chi vince e chi perde. Non serve però avere un’idea particolarmente alta della politica per capire che, appena al di sopra del piano di calpestìo su cui è maturato l’accordo Bondi-Svp, il quadro si confonde e cambia anche la posta in gioco. In gioco non c’è più il destino dei marmi di Piffrader, ma un’idea di società, un’idea di democrazia, un modo di guardare a se stessi e alla propria storia. La logica di Durnwalder è fatta di certezze tagliate con l’accetta e non contempla orizzonti obliqui. E allora: chi vuole mantenere il duce è cattivo. Chi lo vuole spostare, è buono. Chi lo vuole mantenere è italiano. Chi lo vuole spostare è tedesco. Chi lo vuole mantenere è antidemocratico. Chi lo vuole spostare è democratico. Fine.
Ma Durnwalder sbaglia. E sbaglia di grosso. La sfida che il frontone di Piazza Tribunale lancia - a 66 anni dalla morte di Mussolini - è storica e culturale, non politica.
C'è un fronte trasversale, fatto di altoatesini-sudtirolesi e di intellettuali di lingua italiana e di lingua tedesca, che negli ultimi anni ha chiesto alla Provincia e al Comune di accettare questa sfida e di farla propria. Gente che ci ha messo la faccia anche quando era scomodo farlo. Per spiegare a tutti che il Monumento alla Vittoria è un capolavoro di propaganda fascista e non un monumento ai caduti (e per gli italiani che ci hanno messo la faccia non era semplice); per spiegare a tutti chi era Piffrader e perchè quell'altorilievo nel cuore di Bolzano andava preservato e raccontato (e per i tedeschi che ci hanno messo la faccia non era semplice).
Sono loro, in realtà ad avere perso.
Il cinismo del patto Bondi-Svp ha bruciato l'illusione di poter offire uno sguardo¨«altro» sul Novecento, pensare che persino qui sia possibile metabolizzarlo. Il giorno stesso in cui in redazione arrivava la notizia dell'accordo siglato a Roma per mettere al sicuro la traballante poltrona di Bondi - il peggior ministro alla Cultura della storia repubblicana - sulle pagine del nostro giornale uno storico serio e coraggioso come Hannes Obermaier ribadiva una volta di più che quei monumenti sono una risorsa per la città. Una risorsa scomoda, ovviamente, che richiede un'operazione intelligente. Operazione che, abbiamo appreso, non ci sarà.
Obermaier non è da solo: in questi anni si sono espressi pubblicamente a favore del mantenimento dei monumenti del Ventennio - nella loro integrità simbolica dentro un percorso di storicizzazione che racconti i drammi del «secolo breve» - tanti altri. Qualche nome: il rettore della Lub di Bolzano, Walter Lorenz; l'ex-preside della Facoltà di Design, Kuno Prey; Il sovrintendente alle Belle Arti, Leo Andergassen; la presidente della Comunità Ebraica di Merano, Eli Rossi Innerhofer; la direttrice dell'Ufficio Beni Architettonici Waltraud Kofler Engl; gli storici Christoph Hartung von Hartungen, Hans Heiss e Martha Verdorfer. E poi ancora: gli storici Giorgio Mezzalira e Andrea Di Michele, Paolo Nicoloso, storico dell'architettura del regime e docente a Trieste; Aram Mattioli, docente di Storia contemporanea all'Università di Lucerna; Massimo Martignoni, docente all'Accademia di Brera; don Paolo Renner, direttore dell'Istituto di Scienze Religiose. E altri ancora ce ne sono. Loro ci hanno provato, con coraggio. E fosse anche solo per questo vanno ringraziati di cuore.
Ma loro sono un'élite, la punta avanzata di una società che è ancora in gestazione, dirà qualcuno. Impossibile per la politica ragionare così. Questo è l'errore, perchè non è vero. Se ci crede, la politica può far crescere nella società posizioni minoritarie. Può rafforzarle legittimandole, può diffonderle, ha il potere di farle crescere conferendo loro autorevolezza. Nulla di tutto ciò è stato fatto.
Durnwalder e Theiner hanno avuto orecchie solo per la pancia del partito, per la destra in fuga. Del resto Zeller lo ha detto senza tanti giri di parole ed è questo è il senso vero dell'operazione di rimozione dell'altorilievo in Piazza Tribunale. L'altro orecchio, quello aperto sulla parte più avanzata della società civile sudtirolese, quello è rimasto programmaticamente chiuso. Questa operazione ci porterà finalmente nel ventunesimo secolo, hanno detto. Fantastico. E come ci arriveremo? Sotto i vessilli di Andreas Hofer e dei discorsi ufficiali dell'ubriacatura del 2009, o sotto quelli di Mayr-Nusser? Lavorando per superare i confini con un passaporto europeo o con il doppio passaporto? Non sono questioni da niente. Perchè sono due idee diverse, per certi versi incompatibili, della società in cui viviamo e della direzione che deve prendere.
Il coraggio di chi si è esposto nella questione dei Monumenti per archiviare il Novecento entrando dentro la storia (anzichè rimuoverla), rischia di restare al palo, senza una sponda progressista sul fronte politico. Certo se dopo la deflagrazione del centrodestra - e le dichiarazioni rilasciate ieri dall'onorevole Bancofiore hanno per molti versi persino peggiorato la situazione, rafforzando l'immagine di un partito disposto a tutto pur di andare al governo con la Volkspartei - il Pd avesse il coraggio delle idee sarebbe un'altra cosa. Ma, ammesso che le idee ci siano, Pd e coraggio, in questo momento, abitano mondi diversi. Un peccato.













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