Monumenti: un'azione talebana

di Andrea Di Michele


Andrea Di Michele


«Ci hanno svenduti»: con queste parole alcuni bolzanini intervistati da questo giornale hanno commentato l’accordo tra il pavido Bondi e l’Svp circa i monumenti fascisti e in particolare la decisione di rimuovere il bassorilievo di Piffrader di piazza Tribunale. È solo l’inizio. Nelle prossime settimane tra gli italiani si moltiplicheranno reazioni simili a questa e la vicenda, invece di portarci definitivamente fuori dalle divisioni del Novecento, ci farà fare numerosi passi all’indietro. Lo «storico» accordo - concluso in mezz’ora in qualche salottino di Montecitorio, ignorando qualsiasi opinione che non fosse quella dei parlamentari Svp - alimenterà le peggiori pulsioni identitarie di chi si considera vincitore e di chi sconfitto. In molti italiani è già scattato il riflesso pavloviano secondo cui se si tocca il duce a cavallo si tocca l’italianità. Lo stesso sindaco Spagnolli, che nazionalista non è e che gode della stima dei suoi concittadini di lingua tedesca, si è lasciato scappare un commento indicativo: «Forse gli elettori del Pdl apriranno gli occhi sui loro rappresentanti che avrebbero dovuto difenderli». Come se preservare l’effige del duce significasse difendere gli italiani.
In realtà, in quello e in altri simboli del ventennio, non è rappresentata la nazione ma il fascismo e cioè quanto di peggio l’Italia abbia prodotto nella sua storia. Ma pare che in molti, da una parte e dall’altra, non riescano più a cogliere la differenza. La strada ora è aperta alle peggiori elucubrazioni di pancia e qualcuno, con supremo sprezzo del ridicolo, si porta avanti, definendo niente meno che «totalitario» il «regime» dell’Svp e quindi non troppo diverso dal tanto criticato fascismo... Lo si poteva, anzi lo si doveva immaginare che le reazioni sarebbero state queste. Se l’accordo di questi giorni avesse impegnato formalmente lo Stato a trovare rapidamente soluzioni condivise da discutere insieme agli enti locali, oggi saremmo qui tutti a festeggiare. Sarebbe potuto nascere immediatamente un tavolo di confronto, con scadenze precise e senza preclusioni sulle soluzioni da adottare. Era questa, del resto, la strada che a Bolzano pareva ormai intrapresa. Nel corso degli ultimi anni erano arrivati da più parti segnali di disponibilità a risolvere la querelle. Il dibattito sviluppatosi nella società civile e nelle istituzioni aveva fatto maturare la consapevolezza che un intervento fosse doveroso, anche, ma non solo, per eliminare occasioni di strumentalizzazione politica da parte di chi ancora utilizza quei simboli, per identificarcisi acriticamente o per accusare indistintamente. Ma era emerso da più parti che la soluzione giusta andava ricercata attraverso un confronto e una presa di coscienza della popolazione e aggiungendo e non togliendo. Aggiungendo informazioni e conoscenza attorno a un passato tutt’altro che fulgido e ai segni che ci ha lasciato e non certo prendendo lo scalpello per rimuoverli. Adesso, invece, a Roma hanno accolto la proposta di una Svp sempre più ostaggio della destra, decidendo che il duce a cavallo sarà tolto. È un errore, nel metodo e nel merito. Nel metodo perché impedisce che siano la città, i suoi abitanti e la sua amministrazione a trovare insieme una soluzione, a concludere un cammino che negli ultimi anni aveva visto tutti fare dei passi avanti. Una soluzione condivisa avrebbe disinnescato per sempre la bomba dei simboli. La loro rimozione imposta dall’alto, invece, non fa che spostarla, magari in un museo, con il rischio che prima o poi ci scoppi ancora tra le mani. Le nevrosi non si guariscono con la rimozione del trauma, ma piuttosto confrontandosi consapevolmente con esso.
È un errore nel merito, perché attraverso un’operazione intelligente e coraggiosa, piazza Tribunale e l’enorme bassorilievo potevano diventare un efficacissimo pezzo di uno straordinario museo all’aria aperta, capace di mostrare cosa sia stato il fascismo molto meglio di qualsiasi libro o discorso. E poi, una volta rimosso, il bassorilievo di Piffrader che fine mai potrà fare? A meno che non lo si voglia far marcire in un deposito, bisognerà trovargli una sistemazione adeguata, tenendo conto che si tratta di un manufatto enorme, che per essere esposto necessiterebbe di spazi giganteschi. Sarebbe il colmo che per «depotenziare» il duce gli si costruisse un apposito museo, dandogli quell’importanza e quella centralità che neppure la città costruita dal fascismo gli aveva assegnato. Il duce che diventa un «pezzo da museo» non vedrebbe diminuita, ma piuttosto accresciuta, la propria carica simbolica.
Non si tratta di difendere gli italiani e i loro simboli, ma di mostrare che la società e la politica possiedono quel minimo di maturazione civile e di consapevolezza culturale che consentono di accettare la sfida che il fascismo di pietra ancora ci muove, evitando scorciatoie talebane. Ed è una sfida che riguarda noi cittadini dell’Alto Adige e non certo Bondi: a lui bastano i crolli di Pompei e le sue poesie ad assicurargli il posto che merita nella storia e nella cultura.

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