La guerra

Odessa assediata, la Crimea, il Donbass. «Così ho visto nascere la guerra»

Intervista a Fabio Marcotto, scrittore bolzanino, che ha vissuto tanti anni prima a San Pietroburgo e poi ad Odessa


Sara Martinello


BOLZANO. Nelle ultime settimane ad alcuni politici è venuta l’idea di proporre a Russia e Nato l’Autonomia come strumento per l’Ucraina.

«Questi paragoni non hanno senso. I separatisti filorussi hanno il completo controllo della frontiera del Donbass verso la Russia. Si parla russo. Chi dovrebbe tutelare chi? Di quale autonomia vogliamo parlare?»

Lo scrittore Fabio Marcotto, bolzanino, ha vissuto a San Pietroburgo dal 2000 al 2007 e a Odessa dal 2010 al 2015 con una cattedra di lettore di lingua italiana. Ha visto il Maidan, ha amici in Ucraina e parenti in Russia, sa dare elementi di comprensione del nazionalismo post sovietico.

Professore, perché Odessa è così importante?

Odessa è vicino alla Moldavia ed è sul mar Nero: finché non la occupano è il porto più importante dell’Ucraina. Questo ne ha sempre fatto una città cosmopolita, con una fortissima comunità ebraica falcidiata nel 1944 per mano dei romeni alleati dei tedeschi nazisti. La costruì nel 1794 l’italiano José de Ribas, con architetti e ingegneri qualificati come richiedeva il disegno dell’imperatrice Caterina. Per gli italiani il secolo d’oro è stato l’Ottocento. Ma dopo la rivoluzione bolscevica, ai tempi delle purghe di Stalin, già non ce n'erano più. Sono rimasti i palazzi, le spianate, la scalinata Potëmkin di Francesco Boffo. Oggi è popolata da ucraini che parlano russo, per ragioni storiche e di prestigio sociale; non sono russi etnici. Gli odessiti sono un caleidoscopio di culture.

E la Crimea?

La Crimea è bella, gli ex governanti sovietici avevano tutti la villa lì. Luogo geopoliticamente nevralgico. È stata colonizzata da varie etnie e lingue: da genovesi e veneziani ai tatari, di etnia turca. Non è “sempre stata russa” come dice Putin.

Qual è l’assetto demografico del Donbass?

Il 60 per cento è ucraino e il 40 russo etnico, perché ai tempi sovietici vi furono trapiantati russi da impiegare nelle miniere. Un discorso è la striscia occupata dai filorussi, il resto è ucraino, in mano a ucraini russofoni.

Che cos’ha visto nel 2014?

Ogni fine settimana c’erano cortei pro Russia e pro Ucraina. La tensione è esplosa il 2 maggio 2014, quando pare che siano arrivati squadroni di Pravyj Sektor da Kiev. Uno scontro durissimo, fino alla strage della Casa dei sindacati. Ricordo che noi, usciti per mangiare una pizza, siamo stati travolti dalla folla in fuga.

Parlando con altoatesini ucraini emerge il “mito” di Stepan Bandera. In Russia è considerato un criminale...

Dopo le collettivizzazioni di Stalin, che avevano colpito soprattutto i kulaki, all’arrivo dei nazisti molti videro nell’invasione la possibilità di liberarsi dei sovietici. Ricordiamo lo Holodomor, la carestia imposta dall’Urss, con 4 milioni di ucraini morti per fame. Non li ho visti i nazisti, i fascisti, tra 2010 e 2015. Era, e credo sia ancora oggi, pura propaganda.

Perché il nazionalismo ucraino ci sembra così spinto?

Da noi forse c’è quando si parla di fede calcistica... Per i popoli slavi il senso di appartenenza è viscerale, e quel che Putin ha ottenuto dal 2014 ad oggi con l’annessione della Crimea e il Donbass è stato cementare questo sentimento: ha creato un senso di identità ucraina, invece di demolirlo.

Come valuta l’azione Nato?

Posto che non c’era la minaccia di un’espansione imminente, secondo me la Nato non deve espandersi in Ucraina. L’Ucraina dovrebbe mantenersi neutrale e, per fermare la guerra, cedere Donbass e Crimea. Tornare sotto la Russia significherebbe fare il paria, la nazione di serie B. In Ucraina ci sono migliaia di russi che qui, come scrive Internazionale, si sentono finalmente liberi dalla museruola.

Sua moglie è russa. Discutete?

Lo facevamo ogni giorno, nel 2013 e nel 2014. Oggi, di fronte a immagini violentissime ed esagerazioni, siamo pienamente solidali con la popolazione martoriata. Siamo dalla parte della giustizia umana. Di chi è stato aggredito.

Lei nel 2015 ha aperto un interessante blog, “Odessitaly”, ripreso quest’anno. Ci può consigliare anche qualche libro?

Certo. Consiglierei “Babij Jar”, di Anatolij Kuznetsov (Adelphi), “Il futuro è storia”, di Masha Gessen (Sellerio), “Niente è vero, tutto è possibile”, di Peter Pomerantsev (minimum fax), “L’ultima favola russa”, di Francis Spufford (Bollati Boringhieri).













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