Paralizzato climber 18enne, ora è scontro tra avvocati

La fidanzata, che doveva garantirgli la sicurezza da terra, è stata sollevata. Chiesta l’archiviazione dell’inchiesta penale ma si prospetta una causa civile


di Massimiliano Bona


BOLZANO. Un diciottenne, andato ad arrampicare alla palestra di roccia in zona industriale a Bolzano con la fidanzata (che era a terra e avrebbe dovuto garantirgli la sicurezza), ha perso l’appiglio in parete ed è rimasto paralizzato alle gambe dopo un volo di 11 metri.

Nell'impatto, violentissimo, con il suolo una vertebra si è rotta e una seconda si è incrinata con la conseguenza che oggi gira in sedia a rotelle o solo con l'ausilio di speciali tutori. I fatti risalgono al 2012 ma sono diventati di dominio pubblico solamente in questi giorni perché si è appreso che c'è un'inchiesta penale in corso (per la quale è stata avanzata una richiesta di archiviazione) con l'ipotesi di reato di lesioni personali gravissime. A pronunciarsi dovrà essere il giudice di pace. Parallelamente sarà aperto anche un procedimento civile per arrivare ad una richiesta di risarcimento danni che potrebbe essere particolarmente rilevante anche in considerazione della giovane età del climber. Si tratta di un caso, tra l'altro, destinato a fare giurisprudenza perché nella nostra provincia, nonostante vi sia un numero piuttosto elevato di impianti di questo tipo, non si sono mai registrati incidenti così gravi. L'impianto in zona industriale a Bolzano è molto frequentato e ci sono diciannove linee. Chi vuole arrampicare paga il biglietto e firma una liberatoria con la quale, di fatto, si fa carico di tutti i possibili rischi, cadute comprese.

«Non ci assumiamo - spiega la Salewa nel regolamento - alcuna responsabilità per la scarsa conoscenza tecnica e per il conseguente pericolo». Il legale dello sfortunato teenager, Gianlorenzo Pedron, fa leva sia sull'indisponiblità del diritto alla salute (secondo questa impostazione la liberatoria non basterebbe di per sè per mettere al riparo da possibili risarcimenti i proprietari dell’impianto) che sul fatto che vi possa essere stata una presunta omessa vigilanza. Tesi che non è condivisa da Salewa che si assume peraltro l’onore di “una corretta manutenzione degli impianti”. «Se si paga un biglietto per accedere alla struttura - commenta Pedron - , come è avvenuto in questo caso, bisognerebbe essere in grado di dimostrare di aver adottato tutti gli accorgimenti del caso per garantire l'incolumità di chi sale».

Pedron ritiene che si possa ipotizzare una responsabilità colposa e contesta il fatto che, in questo caso, non vi sia stata, una verifica sul l'idoneità tecnica in parete del climber e sull'idoneità nell'utilizzo dei mezzi di sicurezza a disposizione da parte di chi lo ha assistito (la sua ragazza).

«In Svizzera - argomenta Pedron - si sta facendo largo una corrente di pensiero contraria all’utilizzo non sorvegliato delle palestre di roccia indoor, perché con la musica e gli amici che bevono l'aperitivo poco distante non ci sarebbe la stessa tensione e attenzione di quando invece si arrampica nella natura. Le palestre di roccia, secondo questa tesi, sarebbero una sorta di realtà virtuale». Ora l'inchiesta penale sembra in dirittura d'arrivo mentre per chiarire l'aspetto civilistico serviranno nuove perizie. Non è affatto detto, peraltro, che il magistrato che sta seguendo l'inchiesta ravvisi l'omessa sorveglianza ipotizzata dai legali del giovane che ancora sta cercando, faticosamente di recuperare, in centri specialistici, almeno parte della funzionalità delle gambe.

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