Prima che ci fossero i prati del Talvera

Anni Cinquanta: i ricordi di un ex studente dell’ITI Galilei, dai fossi ai ragazzi della via Pal


di Flavio Zanella


BOLZANO. Sono nato nel 1942 alle Semirurali ed ho frequentato le scuole elementari alle “Scolette San Filippo Neri” di via Palermo ed alle (allora) nuove scuole di Piazza Don Bosco. Quando si è trattato di proseguire negli studi, i miei hanno scelto l’avviamento industriale presso le scuole di via Cadorna. Era il 1952 e mio padre lavorava come operaio alla Lancia.

Per andare alle Galilei, dovevo prendere la Sasa N° 3, in piazza Don Bosco (fino a poco tempo prima si chiamava Piazza Pontinia). Mi ricordo ancora l’astuccio di alluminio e la tessera di cartoncino azzurro che il bigliettaio ci bucava ad ogni corsa. Gente che viaggiava a sbafo, allora non ce n’era.

Di solito si scendeva al Ponte Talvera e si percorreva il viale del Parco Petrarca. È meglio dire “si avrebbe dovuto” perché, una volta iniziato il viale, si scavalcava la staccionata e si prendeva la stradella degli orti. Allora non era ancora arrivato l’ingegner Lettieri e le sponde del Talvera erano ancora occupate dagli orti di guerra. I ciottoli del torrente erano accatastati in bassi muretti a secco per delimitare gli appezzamenti e noi sfruttavamo gli spazi tra i muretti per allungare la strada verso la scuola.

In quei tempi si leggeva “I ragazzi della via Paal” di Ferenc Molnar e ci entusiasmavano le battaglie per la difesa
della “cittadella” e le lotte contro le “camicie rosse” che volevano conquistarla. Tifavamo tutti per Nemeczec e Boka, mentre ci stavano antipatici Geréb e Franco Ats. I fossi erano i confini ed i muretti di sasso erano le trincee. Lanciavamo nei fossi, dei sassi non molto grossi e lo scopo, non era quello di colpire il nemico ma di lavarlo con gli spruzzi d’acqua.

Si arrivava a scuola quasi sempre zuppi d’acqua (brombi o mizi). Che fosse autunno, inverno o primavera, non faceva differenza. Spesso ci si lasciava prendere dalla foga del gioco e ci si rendeva conto che era tardi solo quando non si vedevano più ragazzi passare sulle passeggiate. Allora erano corse a perdifiato per arrivare un attimo prima dello scadere del suono della campanella. Nella corsa, si saltavano i fossi e, quelli che non erano stati bagnati dagli spruzzi, si lavavano nel momento in cui finivano a mollo.

Non serve spiegare che anche all’uscita dalla scuola, l’itinerario era sempre lo stesso. Solo che non c’era l’ansia di arrivare i ritardo. Quando si tornava a casa, bastava dire che la Sasa ci era passata sotto il naso e che avevamo dovuto aspettare quella successiva. Come sempre. Le bugie hanno le gambe corte. Nostra madre guardava nella cartella e trovava sempre i libri ed i quaderni bagnati. Allora era duro dare una spiegazione
plausibile. Quando andava bene, volavano rimproveri.

Dopo pochi anni è arrivato l’ingegner Lettieri con i suoi studenti, i teodoliti, le paline e le stadie. Con l’aiuto del Genio Militare, sono nati i Prati del Talvera.
Ma questa è un’altra storia.
 













Altre notizie

Attualità