Profughi ospitati in casa, l’esempio di tre famiglie

Cornelia, Isabelle e Raffaela hanno aperto le porte a Qamar, Ousman e Muna I migranti hanno bisogno di un letto, di un lavoro e di aiuto per fare i documenti


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Quando una mia conoscente che insegna italiano ai profughi della ex Gorio, mi ha chiesto se potevo ospitare Qamar, costretto a dormire ai giardini della stazione, io e il mio compagno Norberto ci abbiamo pensato un attimo. Ad essere sinceri era da poco partita una studentessa americana che era stata da noi alcuni mesi nell’ambito del progetto di Intercultura e avremmo voluto aspettare un po’ prima di tornare ad ospitare qualcuno. Ma ci siamo resi conto che quel giovane non poteva attendere: aveva bisogno di un nostro “sì” subito». Dall’autunno Qamar, 33 anni pachistano, vive con Cornelia Dell’Eva, giornalista nello staff del presidente della giunta provinciale Arno Kompatscher, e il suo compagno Norberto.

Dell’Eva fa parte di quel gruppo di persone che mette a disposizione dei profughi la propria casa per far fronte ad un’emergenza che può essere di un paio di notti, come di settimane o addirittura mesi. L’alternativa per questi disperati, che non rientrano nelle quote concordate tra Stato e Provincia a cui bisogna garantire assistenza, è dormire in strada.

L’ospitalità offerta a persone di cui non si sa nulla, non si limita a mettere a disposizione un letto, che già comunque sarebbe molto, ma va oltre perché i profughi che continuano ad arrivare da ogni parte del mondo, portano con sé una serie di problemi. «Qamara - racconta Dell’Eva - lavora al servizio Emergenza freddo, gestito da Volontarius. Noi gli diamo una mano per quanto riguarda la richiesta dei documenti e la ricerca di una sistemazione, visto che non potrà rimanere per sempre qui. Ci troviamo ad affrontare problemi che non conoscevamo e non è sempre facile, però ne vale la pena».

Dell’Eva non è nuova a questo tipo di esperienze: «Tre anni fa, avevo ospitato una giovane del Burkina Faso: non era una profuga ma una studentessa che aveva fatto la triennale a Bologna e il master a Trento in letteratura comparata. Solo che finiti gli studi, non aveva più diritto di stare nello studentato. Non poteva permettersi di pagare un affitto ed è arrivata da noi: lavorava in una lavanderia dalle parti di Prato Isarco, faceva turni pesanti e intanto continuava a studiare. Sono contenta di averla aiutata perché, dopo qualche mese, ha ottenuto il dottorato di ricerca in Francia». Anche Isabelle Hansen, germanica residente a Lana, giornalista del quotidiano in lingua tedesca Dolomiten, tre figli, membro del gruppo “Solidarietà con i profughi”, un giorno ha ricevuto la chiama di Anna Rottensteiner, un’amica scrittrice che le ha chiesto se fosse disponibile a offrire una stanza ad un giovane senegalese. «Non avendo la macchina e non potendosi permettere di pagare un affitto, non avrebbe mai potuto - racconta Isabelle - accettare il posto di lavoro trovato nel Burgraviato». Detto e fatto: ha deciso che si sarebbero stretti un po’. «La stanza di mio figlio Niko, che studia in Germania, adesso è di Ousman, 23 anni, senegalese. È una persona molto indipendente anche perché fa i turni la notte e di giorno dorme. Gli piace cucinare e per noi è anche l’occasione di conoscere usi e costumi del suo Paese. Per le mie figlie di 11 e 12 anni, è un’esperienza di vita importante».

Diversa ma per molti versi simile a quella vissuta dalla figlia di Raffaela Vanzetta, psicoterapeuta bolzanina, che ha imparato a conoscere da vicino il dramma dei profughi. «A ottobre - racconta Raffaela - abbiamo ospitato per alcune settimane Muna, profuga somala di 24 anni che nel suo Paese ha lasciato tre figlie di 7, 5 e 3 anni. Qualche volta mi scrive da Trieste, dove è stata trasferita. Fino a Natale abbiamo ospitato una badante ucraina che con il lavoro aveva perso la casa». Adesso mamma e figlia stanno seguendo Ifra: dice di avere 18 anni ma sembra una bambina. In realtà in Somalia, da dove è arrivata con un barcone, ha già una figlia di 3 anni e un altro in arrivo. È alloggiata presso Casa Margareth, ma loro l’hanno in qualche modo adottata: la invitano spesso a casa e Raffaela l’accompagna alle visite in ospedale.













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