Bolzano

Prostitute e clienti nel condominio. Inquilini furiosi, ma non c’è reato 

Il caso in via Brennero. La consigliera comunale Barbara Pegoraro ha presentato esposti nel 2018 e nel 2020. La procura prima ha indagato, poi ha chiesto l’archiviazione: «Niente prove di sfruttamento»


Paolo Tagliente


BOLZANO. Di esposti, la consigliera comunale Barbara Pegoraro, ne ha presentati ben due: il primo nel 2018 e l’altro nel 2020. Due atti pressoché identici in cui Pegoraro, sulla scorta delle numerose e dettagliate segnalazioni arrivate da numerosi inquilini esasperati, denunciava la situazione ormai intollerabile creatasi all’interno di un palazzo della zona di via Brennero, nel quartiere Centro-Piani, e nelle immediate vicinanze. Lì, la proprietaria di un piccolo appartamento lo ha dato in usufrutto al padre il quale, a sua volta, l’ha affittato a una donna che l’ha trasformato in una “casa d’appuntamenti”, dove da diverso tempo si prostituiscono alcune ragazze.

Sul fatto che il locale ospiti questo tipo di attività non vi sono dubbi: durante gli accertamenti disposti dalla procura di Bolzano, infatti, gli investigatori hanno appurato che i numeri telefonici pubblicati su alcuni siti web in cui si offrivano prestazioni sessuali di due ragazze dai nomi esotici erano riconducibili proprio all’affittuaria dell’alloggio di via Brennero e di altre due donne. Non solo. Le analisi dei tabulati relative ai numeri delle tre ragazze hanno permesso di risalire ad alcuni soggetti che, interrogati, avevano ammesso di essersi recati nell’appartamento di via Brennero e di aver usufruito di prestazioni sessuali a pagamento da parte di una donna che si trovava da sola all’interno del piccolo appartamento. La situazione, insomma, appare chiara e il disagio delle persone che si sono rivolte al Pegoraro sembra assai giustificato.

Nonostante questo, nei giorni scorsi, la procura di Bolzano ha inoltrato al giudice per l’indagine preliminare la richiesta d’archiviazione del procedimento: per il magistrato inquirente, infatti, i pur abbondanti elementi raccolti nel corso delle indagini non sarebbero sufficienti a far ritenere il “reato di locazione dell’immobile a scopo di esercizio di casa di prostituzione”, visto che l’intestataria dell’affitto risulta essere ella stessa una delle prostitute che utilizzano l’alloggio a turno e che si spostano anche in altri luoghi e fuori provincia.

Vero anche che i clienti ascoltati hanno confermato di aver pagato le prestazioni, ma dagli accertamenti bancari non sono emersi elementi tali da provare che l’affittuaria sfrutti le altre donne né che sia in una posizione gerarchicamente superiore rispetto a loro. Si trattava di una condotta cosiddetta di “agevolazione reciproca”, che non ha rilevanza penale. E seppure la donna sia l’intestataria dell’appartamento e abbia pubblicato gli annunci sul web, per la procura di Bolzano «non si tratta di circostanze ritenute dalla giurisprudenza di legittimità come sufficienti ad integrare la condotta di favoreggiamento».

Richiesta di archiviazione - la seconda - che Barbara Pegoraro ha accolto con comprensibile sgomento. «È evidente che siamo di fronte a una lacuna giuridica – commenta –. Una lacuna che lascia i cittadini indifesi e in balia di situazioni non solo di assoluto degrado, ma anche potenzialmente pericolose. Il viavai di uomini all’interno della palazzina è continuo ed è impossibile non imbattersi in queste persone, salendo o scendendo dalle scale. E non sempre si tratta di persone raccomandabili. Presenze inquietanti in cui è possibile imbattersi anche nelle zone attorno all’edificio e che, in questi anni, hanno spinto molte residenti a non uscire di casa dopo una certa ora. O a farlo solo accompagnate. Stesso discorso vale per bambini e ragazzi. So per certo – continua la consigliera comunale della Civica per Bolzano – che anche in altre zone della città ci sono situazioni simili e credo esista una vera “rete” di prostituzione. Ancora una volta, purtroppo, il cittadino comune si trova a dover subire una situazione di vuoto normativo, con la sensazione di non essere né ascoltato né tutelato dalla legge e dalle istituzioni a cui chiede aiuto».

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