Pugliese avverte: a rischio il futuro della fabbrica

Il patron della Solland: «La trattativa con gli imprenditori cinesi potrebbe saltare per colpa delle azioni dimostrative di questi giorni da parte di poche persone»


di Ezio Danieli


MERANO. Massimo Pugliese avverte i naviganti: «Le ultime azioni dimostrative rischiano di mettere la parola fine allo stabilimento di Sinigo». L’amministratore unico della Solland Silicon non usa mezzi termini. «Si rischia di fare saltare la trattativa con i cinesi», aggiunge Pugliese. «Come già detto nel gennaio scorso, il settore dedito alla produzione di silicio di grado solare è praticamente disastrato, visto il crollo del relativo prezzo di mercato, che ad oggi si aggira intorno al 50% del valore che aveva alla data di subentro del mio gruppo nello stabilimento di Merano (31 dicembre 2014)», sottolinea il patron della Solland.

«Una situazione di mercato, non governabile dalla nostra società, che ha creato non pochi problemi di carattere finanziario alla stessa, visto che i contratti di fornitura che avrebbero dovuto generare la necessaria liquidità aziendale, a causa appunto del crollo del prezzo del polisilicio di grado solare, non si sono potuti sottoscrivere», afferma Pugliese.

Si è deciso allora, per poter salvare l’azienda, e quindi i relativi posti di lavoro, di modificare la missione produttiva della Solland Silicon, puntando sul silicio di grado elettronico e non più sul silicio di grado solare. «Compiuta questa scelta, l’unica strategia attuabile, visti gli ulteriori investimenti da realizzare in virtù della occorrente modifica produttiva, e vista la tipologia del nuovo mercato (elettronica e non più solare), totalmente a noi sconosciuta, era quella di cercare un partner che già operasse nel settore e fosse disponibile ad una stretta cooperazione con la nostra azienda. Abbiamo dunque provveduto a risolvere le pendenze - in particolar modo con i lavoratori - ed abbiamo avviato una serie di contatti con importanti gruppi industriali operanti appunto nello stesso settore di nostro interesse», spiega l’amministratore unico della Soland. Da lì l’interesse del gruppo cinese che «ha mostrato un notevole interessamento rispetto ad una ipotesi di cooperazione, dimostratoci, tra l’altro, da una loro delegazione in visita presso il nostro stabilimento per ben due volte, alla quale si è aggiunta la visita che io stesso ho compiuto presso la loro sede in Cina nella scorsa settimana», afferma Pugliese, che poi ha chiesto ai sindacati di non intraprendere, in questa fase, «azioni che avrebbero potuto mettere a rischio la trattativa in corso, visto che il gruppo asiatico coinvolto ha avviato anche, come noto, un monitoraggio mediatico nei confronti della Solland Silicon».

«La risposta quale è stata? Non attendere neppure il mio rientro ed avviare immediatamente un’azione dimostrativa che sta di fatto mettendo la parola fine allo stabilimento di Merano», sottolinea Pugliese.

Quest’ultimo poi precisa che lo stabilimento poly di Merano (ex Memc) di fatto sarebbe stato chiuso al 31 dicembre 2014 (decisione irrevocabile della precedente proprietà Memc); che il crollo del prezzo del silicio, così come detto in precedenza, ha di fatto bloccato la ripartenza produttiva, e questo sta generando costi finanziari per almeno 800.000 euro/mese, che la mensilità scaduta nei confronti dei lavoratori, relativa al mese di gennaio, è riferita ad un mese dove la produzione del Tcs è stata ferma perché i lavoratori, in modo non legale, hanno applicato il fermo produttivo (così come ancora attuato da qualche settimana), e perché il sindacato non ha voluto sottoscrivere la Cassa integrazione in deroga.

«Questi punti (non gli unici), oltre allo lo stato di agitazione avviato e, fatto ancor più grave, al fermo produttivo di Tcs (cosa, ripeto, non legale), rischiano di far saltare la trattativa ben avviata con il gruppo asiatico, e di far venir meno i presupposti per l’approvazione della Cassa integrazione straordinaria già richiesta al Ministero del Lavoro. - così Pugliese - Rischiano inoltre di mettere definitivamente fine allo stabilimento poly di Merano, anche perché, come è da tempo dimostrato, lo stabilimento non può avere futuro sostenibile in mancanza di partners adeguati, nonostante abbia una fama di eccellente qualità della produzione, visti i tanti inutili tentativi di cessione a varie multinazionali, anche in precedenza fatti dalla Memc».

«Si dovrebbe allora far capire a tutti che si rischia di fare la fine dei nobili decaduti, che parlano solo del passato e non del presente, presente purtroppo totalmente diverso dal passato (quando pochi erano gli stabilimenti al mondo a saper produrre silicio ed il prezzo era di oltre 500 dollari/kg, rispetto ai 13-14 attuali): questa attuale situazione ha fatto si che fuori al cancello dello stabilimento non vi sia certo una fila di potenziali acquisitori», spiega l’amministratore unico di Solland, per il quale «la cosa che dispiace maggiormente è che, per colpa di 4-5 persone che probabilmente hanno altri obiettivi, e che inspiegabilmente riescono a tener in silenzio la maggioranza dei lavoratori (che vorrebbe invece mantenere il posto di lavoro, anziché mettere in atto azioni suicide ed incomprensibili come quelle oggi attuate), si compromette quasi certamente il futuro dell’azienda».













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