«Punti nascita bene i tagli: serve qualità»

Messner, il neonatologo, presidente dell’Anpo «Sotto i 500 parti rischi per mamma e bimbo»


di Antonella Mattioli


BOLZANO. «Quel neonato pesa 450 grammi, mi sta sul palmo di una mano». Hubert Messner, primario dell’Unità operativa di neonatologia e terapia intensiva neonatale dell’ospedale San Maurizio, guarda con orgoglio le culle “speciali” dove oggi un team, formato da medici e infermieri, fa miracoli, curando e facendo crescere quei bimbi che, sfidando le leggi della natura, hanno avuto troppa fretta di nascere. Il neonatologo, 61 anni, solo pochi giorni fa è stato nominato presidente dell’Anpo, l’associazione dei primari ospedalieri, subentrando a Federico Martin (Chirurgia). L’associazione rappresenta circa i due terzi dei settanta primari altoatesini.

Quali sono le sfide che si trova ad affrontare la vostra categoria?

«I primari devono fare rete. Dobbiamo assolutamente superare i confini dei comprensori, condizione indispensabile per migliorare la collaborazione e il servizio ai pazienti. Purtroppo l’Asl unica è un concetto più teorico che pratico: non ci sentiamo ancora come un’azienda unica».

Pochi giorni fa si è insediato il nuovo direttore generale dell’Asl, Thomas Schäl, l’ha già incontrato?

«Non ancora».

L’impressione?

«Non posso ovviamente dare una valutazione, ma l’impressione è positiva. Da quello che ho letto è un dirigente di grande competenza e professionalità, uno che sa cosa vuole. Se porterà avanti la riforma clinica, avrà tutta la nostra collaborazione».

Cosa pensa della discussione sui punti nascita: San Candido è già stato chiuso, mentre è in discussione quello diVipiteno.

«Innanzitutto va fatta una premessa, in questa vicenda che ha portato alla sollevazione della periferia, la comunicazione ha lasciato a desiderare: sia nei confronti dei medici che della popolazione, per cui non si è riusciti a far capire esattamente le ragioni di certe sceglie. Voglio spezzare una lancia nei confronti dei medici della periferia: hanno sempre lavorato bene e continuano a farlo. A San Candido oggi ci sono ambulatorio e pronto soccorso con pediatra e ostetriche che funziona bene».

Una parte della popolazione è arrabbiata, provi lei a spiegare il perché di certe scelte.

«Le disposizioni di legge e gli accordi Stato-Regioni sono molto chiari: non si possono lasciare aperti i centri in cui nascono meno di 500 bambini all’anno, perché non possono garantire sicurezza, qualità e appropriatezza d’intervento al neonato e alla mamma».

Cosa serve per garantire certi standard?

«Un ginecologo, un neonatologo, un anestesista e un’ostetrica 24 ore su 24. Significa avere un team di 8-9 specialisti. Non abbiamo le risorse, non abbiamo gli specialisti: dobbiamo renderci conto che non possiamo avere tutto ovunque».

Si discute se tenere aperto il punto nascita di Vipiteno.

«Se si tiene aperto il punto nascita di Vipiteno deve avere le caratteristiche che ho detto. Perché se l’emergenza si verifica di notte non basta che il medico sia reperibile: il tempo necessario per arrivare in ospedale (20 minuti) è troppo».

Oggi la diagnostica vi consente di prevedere eventuali problemi al momento del parto e quindi di programmare.

«È vero, la diagnostica ha fatto passi da gigante e questo ci consente di trasferire la donna, con un certo anticipo, nel centro più attrezzato. Ma nel 30% dei casi le problematiche che possono insorgere al momento del parto non si possono prevedere. Ed è per questi casi che noi dobbiamo essere in grado di offrire tempi rapidi e appropriatezza d’intervento: ne va del futuro del bambino. Non basta farlo nascere, ma deve essere anche il più possibile sano».

Quante volte in questi anni a lei e alla sua equipe è capitato di andare in giro per la provincia a prendere neonato o mamma in difficoltà?

«In 15 anni abbiamo effettuato 900 trasporti».

Qual è oggi il tasso di mortalità?

«In Alto Adige, grazie anche agli investimenti fatti, abbiamo standard simili a quelli di Svezia e Danimarca, che sono al top a livello europeo. La mortalità infantile (da zero a 5 anni) è pari al 2 per mille; la mortalità neonatale, nel 2014, è stata del 6% nei prematuri sotto il chilo e mezzo».

E la percentuale di neonati sopravvissuti senza problemi?

«Siamo oggi nell’ordine del 75%, nel 2000 eravamo al 56%: questi numeri danno la misura dei progressi fatti. Per questo è fondamentale l’organizzazione e, non mi stancherò mia di ripeterlo, tempestività e appropriatezza di intervento».

Il periodo di gestazione minimo entro il quale voi rianimate il neonato?

«Sotto le 23 settimane nessuno. Lo cominciano a fare adesso i colleghi giapponesi, ma loro hanno una genetica diversa. Tra le 23esima settimana e la 24esima - è una zona grigia ad altissimo rischio - si valutano le condizioni del neonato e si parla con i genitori, facendo presenti quelle che potrebbero essere le conseguenze. Dalle 24 settimane in su, rianimiamo tutti»

Quanti i prematuri che arrivano da voi ogni anno?

«Circa 350, di cui una sessantina sotto il chilo e mezzo. Il numero è stabile, ma grazie ad un’assistenza ostetrica sempre più di alto livello, sono diminuiti i neonati sotto il chilo».













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