Quando Eva Klotz disse “no” a Magnago e a Bossi

Entra in politica dopo la morte del padre. Nel 1983 lascia la Svp e approda in Consiglio con l’Heimatbund. Testarda, dura e solitaria, storia di una donna che non ama i compromessi


Luca Fregona


BOLZANO. Fuori dall'Union, pronta per l'ennesima sfida della sua vita. Eva Klotz non ha paura di niente. Nel 1983 ha lasciato la Svp sbattendo la porta. Ha litigato con tutti i mostri sacri, da Magnago a Benedikter, da Riz a Volgger. Figuriamoci se china il capo davanti ad un "qualunque" Andreas Pöder. «Un arrivista - dice fredda - che mi ha pugnalato alle spalle». Lei lo ha creato dal niente. Lui l'ha tradita.  Eva è delusa, ma sa controllarsi molto bene. Al congresso è stata una leonessa. Ha combattuto. Ha parlato di valori, di Heimat, ha toccato le emozioni. Ha scaldato la platea. Ha portato molti indecisi dalla sua parte. «Non come Pöder, che pensa solo agli affari suoi. Si è dimenticato da dove veniamo, la nostra storia». 

La lunga treccia corvina, oggi velata qua e là di bianco, è in ordine, portata, come sempre, sulla sinistra. Look sobrio. Gonna e camicetta. Pochi fronzoli per la pasionaria. A 56 anni lascia la sua creatura, l'Union. «Si ricomincia sempre daccapo - sospira -, solo il buon dio sa come andrà a finire».  La sconfitta brucia, ma se ne fa una ragione. «E' solo una nuova sfida. Come quando, due anni fa, mi sono candidata a sindaco di Bolzano».  Già, Bolzano, la città italiana, la piazza più ostile all'Union. «Ma ci credevo. Quando faccio una cosa, mi butto fino in fondo». Per la Klotz il personale è politico. Alle comunali del 2005, come capolista, mette il marito Hans Bachmann. Un'imposizione che nel partito non è piaciuta. «Hans - taglia corto - fa politica per me, per amore. Chi sposa Eva Klotz, sposa la causa». Un amore maturo, sbocciato dopo il primo matrimonio (finito male) con un dentista della Transilvania.  La politica è entrata presto nella vita di Eva Klotz. «La mia infanzia è stata segnata dalle vicende di mio padre».

Georg Klotz, il "martellatore" della Val Passiria, terrorista per lo Stato italiano, partigiano per i sudtirolesi, morto in "esilio" in Austria nel 1976. «Quando morì avevo 24 anni. Quel giorno decisi che avrei preso il suo posto. Così ho cominciato a far politica». Eva aderisce all'Heimatbund. Nel 1980 viene eletta in consiglio comunale a Bolzano. Con la Svp. «Da indipendente. L'unica donna in un gruppo di 11 uomini». E' la seconda per numero di preferenze. Ma il rapporto con la Volkspartei è conflittuale. Troppi compromessi. Lei vuole il referendum sulla autodeterminazione, non le vanno giù gli inciuci, il partito degli affari. E' convinta che la Svp stia tradendo l'Heimat e la memoria di uomini come suo padre. Magnago non usa mezzi termini: «Eva è una donna impossibile, vuol sempre avere l'ultima parola...». Lei risponde dura: «Silvius è un antifemminista, detesta tutte le donne che fanno vera politica, ma lo rispetto perché almeno non ha mai rubato». Morale: nel 1983 si candida per il consiglio provinciale. Ma con l'Heimatbund. E ci entra sparata: 3.500 preferenze. Il primo giorno si presenta con i capelli raccolti a crocchia e il dirndl. E' un trionfo. Nasce il mito mediatico della "pasionaria". Della "dura e pura".

Nel 1989 fonda l'Union, punto di riferimento di chi sogna il ritorno all'Austria. La Klotz trova appoggi nei circoli della destra tedesca, raccoglie simpatie tra gli Schützen. Alla metà degli anni Novanta ha un breve flirt con la Lega Nord. Ma poi manda al diavolo anche Bossi. Succede a Venezia, quando il senatur bendice l'ampolla del Po e dice che l'Alto Adige fa parte della Padania. Lei fa cenno di no con il dito, e se ne va. «Questo - sussura ai suoi - non ha capito niente». Testarda, non abbandona mai il sogno di un referendum per la riannessione alla Vaterland. Si batte contro il bilinguismo precoce, la toponomastica italiana, i "relitti fascisti". Considera l'Italia una "nazione imperialista". «Per questo - proclama - non sposerò mai un italiano». Il famoso manifesto dell'Italia-cesso che le ha procurato un rinvio a giudizio per vilipendio dello Stato, è farina del suo sacco. Ma è capace anche di autoironia e di allacciare amicizie imprevedibili. Come quella con il «fascistone» Ruggero Benussi, il consigliere del Msi scomparso nel 2004, ex repubblichino e legionario della Decima mas. Fecero comunella sui banchi del consiglio. Quando Benussi si ritirò dalla politica, lei per ricordo gli regalò una ciocca di capelli.

Oggi precisa di "non odiare gli italiani". «Io faccio solo una battaglia per la tutela di dritti fondamentali del mio popolo». E ancora: «Alle elementari la mia maestra era un'italiana, le volevo molto bene. Un giorno volli farle un regalo, andai da mio padre, glielo dissi, e lui mi diede i soldi, sebbene fossimo poverissimi. Questo per dire che la nostra non è una battaglia contro le persone». Negli ultimi anni Eva ha accentuato la critica al "sistema Svp". «C'è un gravissimo deficit di democrazia. E' diventato il partito degli affari». Una linea che ha pagato. Alle provinciali del 2003, l'Union fa 17 mila voti e sfiora il terzo consigliere.  Ma il successo dà alla testa, il partito si spacca. Una lotta pubblica e privata che - sabato - ha portato Eva a sbattere la porta. Per l'ennesima volta.













Altre notizie

Il caso

Chico Forti, si avvicina il rientro in Italia: ha lasciato il carcere di Miami: "Per me comincia la rinascita"

Da ieri il 65enne trentino, condannato all’ergastolo per omicidio, è trattenuto dall'Immigrazione Usa: nelle scorse ore firmato l’accordo per scontare la pena in Italia

LA PROCEDURA. La sentenza Usa sarà trasmessa alla Corte d'Appello di Trento
IL RIMPATRIO. Il ministro Nordio: «Chico Forti, lavoriamo per il suo ritorno in Italia il prima possibile»
L'ANNUNCIO Giorgia Meloni: "Chico Forti torna in Italia"

Attualità