Quella umiliazione, poi il coltello: lo spettro di Marco Bergamo

Le inquietanti analogie con l’ultimo delitto del «mostro di Bolzano e quell’arma portata “perché infonde sicurezza”


di Paolo Cagnan


BOLZANO. Brutta cosa, a volte, la memoria. E chissà perché, sembra sempre ieri. E invece era il sei agosto del 1992: vent'anni fa. C'erano già allora, le prostitute ai Piani. Praticamente, ci sono sempre state. Perché ci sono sempre stati i clienti.

Dunque, quella notte d'estate c'era una lucciola di 19 anni, termine ora un po' demodè che si usava a quei tempi. E c'era un giovane puttaniere, che girava in macchina a caccia di una preda, col coltello in tasca. Lei, poveraccia, non l'aveva mica capito che quello lì era un tizio un po' strano. Il confine tra la vita e la morte – anche se forse l'avrebbe uccisa lo stesso, come le altre – sta tutto in una frase. Una risata, l'errore più grande. “Mi ha detto che ero un mezzo uomo. Umiliandomi. Così l'ho uccisa”, racconterà il ragazzone allampanato e baffuto, poche ore più tardi in questura.

La storia, quella storia, ormai la sappiamo un po' tutti. Ma forse vale la pena ricordarla: non per riaprire vecchie ferite – che in questi casi si aprono a prescindere – ma per constatare quante sconvolgenti analogie vi siano tra l'ultimo atto criminale di Marco Bergamo e il primo (forse anche l'ultimo, ma non certo perché gli daranno l'ergastolo) di Kevin Montolli.

Quella notte sul sei agosto, Marco Bergamo era andato a caccia. Pochi mesi prima, il ventuno marzo, aveva ucciso un’altra ragazza in un piazzale lungo la statale del Brennero, verso Campodazzo a nord di Bolzano. A gennaio, invece, aveva colpito nel capoluogo altoatesino, in via Renon: un'altra giovane lucciola finita sotto i suoi colpi, sul retro di un distributore. Tre donne uccise in sei mesi: un'escalation che per qualche ora si pensava non dovesse avere fine.

La sua ultima preda, quella che si era concesso il giorno del suo compleanno - il sei agosto, appunto - Marco l'aveva abbordata a bordo della sua Seat Ibiza rossa, e con lei si era appartata là dietro, ai Piani. Qualche settimana prima, aveva subito l'asportazione di un testicolo, per via di un tumore. Si era spogliato, e lei aveva firmato la sua condanna a morte, ridendo di quella menomazione. Sotto il sedile dell'auto, un coltello tagliapane. In una scatola in camera da letto, Bergamo di coltelli ne aveva 14. Eppure, quella notte aveva portato con sé quello meno “efficace”. Perché era un sadico, diranno i periti. Ventisei coltellate, con lei che cerca disperatamente di difendersi.

«Mi è esplosa fuori una rabbia interiore, ho preso il coltello che avevo messo sul tappetino posteriore e ho iniziato a colpirla, ma da quel momento non ho più ricordi precisi».

Una lotta furibonda, ma alla fine lui la uccide. Per sbarazzarsi del suo corpo sale su per la strada che porta al Colle, fa un paio di tornanti e la deposita lì, come un sacco di patate.

Ma stavolta ha sbagliato. Ha incrociato una macchina. Hanno visto parte della targa, e il tipo d’auto. Lui cerca di ripulire la macchina, toglie i coprisedili e getta tutto alla zona industriale. Poi va a casa, si lava, si cambia. Di lì a poco deve andare in ospedale, per la chemioterapia. Pantaloncini corti,camicetta, i baffoni e l’aria da tontolone. E’ così che sale di nuovo sulla Seat. Così che lo fermano vicino al casello di Bolzano sud. Ha ripulito, sì. Ma del sedile del passeggero è praticamente rimasto solo lo scheletro. E nell’ultimo guizzo feticista, ha attaccato all’interno del baule con lo scotch la carta d’identità della sua ultima vittima. Fine della corsa.

Donne come oggetti. Vent’anni fa come oggi. E a rileggere le cronache di allora, a confrontarle con quanto accaduto ieri, sembra quasi di leggere le astrazioni teoriche del “profiler” di turno. Avete presente, no? «Serial killer organizzato». Seguono caratteristiche peculiari. Parrebbero enunciazioni teoriche, ma poi ti ritrovi un ragazzo di 19 anni che va a donne col coltello in tasca e che uccide a sangue freddo. E pensi che anche Marco Bergamo, quando uccise la prima volta, aveva quell’età. Che anche lui girava col coltello in tasca, “perché mi dava un senso di sicurezza”.

Bergamo con l’impotenza psicogena, così dissero i periti. Kevin, in una situazione simile. Entrambi maschi offesi, derisi, umiliati. E ora ci sarà anche qualche bravo avvocato a dirci che il coltello non indica premeditazione, magari Kevin ce l’aveva perché faceva il panettiere.

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