Racket prostitute, presi i luogotenenti

Un arresto in Romania e uno a Reggio Emilia: “Victor” e “Il turco” gestivano le ragazze e i soldi del clan dei romeni


di Riccardo Valletti


BOLZANO. È stato arrestato mentre si nascondeva in un casolare abbandonato fuori dalla cittadina di Oravita, nel sud-ovest della Romania a poche decine di chilometri dal confine con la Serbia, Ion Victorian Boseika, uno dei luogotenti del boss del clan romeno che aveva invaso Bolzano con il racket della prostituzione. Dopo la raffica di arresti dell’operazione “Sabotage” a Bolzano, era sparito dai radar da mesi, cercando di restare a piede libero, ma non è riuscito a sfuggire alle indagini congiunte tra polizia romena e carabinieri della compagnia di Bolzano, i cui vertici operativi risultavano irreperibili da alcuni giorni, e che alla fine sono riusciti a localizzarlo e infine arrestarlo durante un’azione congiunta in territorio romeno su mandato di cattura internazionale.

Ion Victorian Boseika, noto come “Victor”, era uno degli uomini più vicini al boss del sodalizio criminale, il guardaspalle del capo, che non si muoveva se non aveva Victor al suo fianco. Suoi gli incarichi più delicati, come provvedere all’incasso del denaro delle prostitute e il rifornimento delle “nuove leve” fatte arrivare dalla Romania per vendersi in strada ai Piani e in centro. Dopo una lite furibonda tra gruppi diversi dello stesso clan, scatenata da una questione di proprietà di una prostituta, è stato costretto a rientrare a Bolzano d’urgenza dalla Romania per evitare che lo scontro finisse in guerra.

Il gruppo più debole, terrorizzato dalla falange armata e meno diplomatica del racket, si era nascosto su un treno ed era fuggito a Trieste. Solo grazie all’intervento di Victor è tornata la pace in via Renon e si è evitato uno spargimento di sangue.

E mentre in Romania veniva eseguito l’arresto internazionale, a Reggio Emilia finiva in manette il secondo luogotenente del boss: Ismail Beiget, detto “Il turco” e che per impressionare gli avversari si faceva chiamare “Solimano il Magnifico”. Il turco aveva invece gli incarichi più operativi, quelli in cui non ci si fanno scrupoli a menare le mani. Protettore possessivo, controllava a breve distanza le sue schiave anche mentre erano in servizio. Nel quadro dell’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Andrea Sacchetti, è emerso come il boss del sodalizio si fidasse solo del turco per proteggere le sue due bambine, che gli venivano affidate in assenza del padre anche per i minimi spostamenti. La base del clan, hanno accertato gli uomini del nucleo investigativo dei carabinieri, impegnati per mesi in pedinamenti e intercettazioni di decine di persone e utenze telefoniche, era a Torino.

Dopo i primi contatti, il boss era venuto a Bolzano a installare il suo business di schiave di strada e furti, per poi tornare in Piemonte e controllare tutto a distanza. I soldi venivano raccolti dai suoi sgherri e poi trasferiti alla base con i servizi di “money transfer” in piccole quote. I carabinieri hanno accertato che nel corso dei mesi centinaia di migliaia di euro sono transitati sui conti del clan, dopo aver monopolizzato la prostituzione a Bolzano.

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