Ragaglia: «Con l’arte non si possono fare solamente profitti»

La direttrice del Museion guarda oltre i bilanci in passivo «Nessun museo è in attivo: la provocazione fa pensare»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. Qualcuno le ha fatto i conti in tasca, direttrice: una media di ventiquattro visitatori al giorno per, sempre al giorno, 10mila euro di spese. Se la matematica non è un opinione... «Allora, anche a costo di essere impopolare, ma la matematica in questi casi diventa invece un'opinione. E pure sbagliata». Letizia Ragaglia non ne può più. Legge dei bilanci di Museion (2,5 milioni l'anno), del livore verso la sua "arte degenerata" (citazione da gran brutti ricordi...), degli attacchi politici (soprattutto da destra), dei conti in tasca alle rassegne, ai prestiti, al cda, ai collezionisti, al Passage, agli ospiti, ai curatori.

Il Museion rischia di essere indigesto?

«È l'arte stessa qualche volta ad essere indigesta».

Dicono, quelli che mostrano di saperla lunga, che dovrebbe essere più bella...

«Purtroppo l'arte di oggi sembra far di tutto per non esserlo, vero? In realtà il bello non ha molto a che fare con l'arte contemporanea. Chi cerca rassicurazioni dovrebbe guardare indietro».

È questa la funzione del Museion?

«Vorrei che lo fosse. Che non desse rassicurazioni».

Brutto compito...

«Immagino un posto dove nascono dubbi e non troppe certezze. Se un artista mostra un mondo come vorremmo che fosse non svolge il suo compito. Il mondo ha bisogno di campanelli d'allarme».

Perché questo livore a Bolzano? Sembra che ogni volta che avviene un inciampo, come l'opera di Goldi e Chiari spazzata via, ci sia chi non aspetta altro.

«Immagino proprio per lo sconcerto che provocano alcune opere. Per la sensazione di straniamento che coglie chi guarda certe rassegne. Ma la provocazione è il sale dell'inquietudine e bisogna pur che sopravviva da qualche parte per offrire altri punti di vista sulle cose».

È questo il compito dell'arte oggi?

«Di quella più coraggiosa».

Una volta si entrava nei musei per ammirare la natura riprodotta nella sua forma più bella...

«Ancora oggi. Ma in altri musei. L'arte contemporanea non è solo contemplazione è soprattutto un'esperienza».

Dicono: ma la sua, quella che sceglie lei, non si fa capire...

«È come una lingua straniera. Capire tutto non lascerebbe dubbi».

È un destino allora quello del Museion, cinico e ingrato?

«Quando apparve Fontana, con i suoi tagli, sembrava un marziano. Adesso il suo spazialismo è un classico. Fanno aste da capogiro. Ecco, l'arte deve essere come un taglio, aprire la porta verso mondi sconosciuti».

Ma il nostro mondo, l'Alto Adige, può permettersi questa eccellenza?

«Abbiamo aziende innovative, imprenditori ad alto rischio, università, punte di diamante. Il Museion? Sì, ce lo possiamo permettere. Ovunque, anche nei lucidi turistici, quando si parla di Bolzano appare il Museion».

E i critici? Divisi?

«Il nostro lavoro è preso ad esempio dalle migliori riviste, dai centri più all'avanguardia, dai curatori più quotati».

E ce lo possiamo permettere finanziariamente?

«Con l'arte non si possono fare solo profitti economici. Nessun museo è in attivo».

Ma troppo passivo?

«Non è troppo quello del Museion. Abbiamo 50mila visitatori. Aumentati del 35%. Certo, non tutti paganti. Ma è una politica che ci è imposta. Non pagano gli under 18, gli over 60. Facciamo entrare gratis le scuole. Insomma c'è una funzione sociale e quella è sempre in rosso. Di natura».

E gli artisti locali? In tanti protestano e dicono: e noi?

«Sono centinaia quelli passati di qui. O tornati dal successo all'estero. Quindi il Museion è aperto. Certo, deve fare selezione. Per il resto ci sono anche le gallerie».

Si sente in pericolo?

«Mah, certo faccio un lavoro rischioso».

Fare la direttrice lo è?

«Lo è perché voglio lasciare spazio all'ambiguità, alle opere mai troppo chiare. Ma è così che ci si apre al mondo, accettando anche le provocazioni. La terra non è un luogo univoco».













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