Scegliere insieme

di Paolo Campostrini


Paolo Campostrini


Oggi che le idee dell’economia stanno diventando il paradigma della modernità, la domanda non dovrebbe riguardare le ragioni per cui l’economia si sia messa a far politica ma perchè la politica non si decida a governare la modernità. Pan, infatti, che nella vita produce strudel, non vuole aggredire il primato della politica («viviamo in una regione esemplare») ma le chiede di ribadirlo attraverso una precisa assunzione di responsabilità a fronte di un mondo che non è più quello della generazione che ha costruito l’autonomia. In sostanza: questa autonomia, con i suoi livelli di benessere acquisito negli anni della crescita, non è più garanzia di modernità negli anni della recessione. Durnwalder lo sa ma è cresciuto in un mondo che gli ha sempre e solo chiesto di mediare tra interessi, dentro una «Sozialpartnerschaft» applicata alla società. E guarda alle imprese come fa con i sindacati dei provinciali: gente che chiede soldi. In realtà la mediazione come fine è propria dei tempi di vacche grasse; quando dimagriscono, la mediazione può al massimo essere un mezzo per rendere le scelte meno impattanti. Scegliere, ecco il dramma politico di questi tempi.
Ed è il passaggio attraverso cui sono transitate molte imprese per poter sopravvivere al primo impatto dello tsunami economico. Ma scegliere (nella politica sanitaria, in quella industriale, burocratica ed occupazionale) è l’orizzonte che aspetta anche la classe dirigente altoatesina. Che partirebbe comunque da una posizione di privilegio: qui, i livelli di disgregazione sociale e di conflittualità tra le classi non sono paragonabili a quelli di altre realtà a noi vicine. Qui si è ancora in grado di avviare un percorso condiviso. Ed è quello che è si è percepito ieri, guardando a Pan e a Durnwalder. Dopo le accelerazioni e gli strappi dei mesi scorsi, Assoimprenditori e Provincia sembrano avviarsi verso una stagione di dialogo. Pan non vuole impartire lezioni («Non ci interessa la presenza mediatica») e Durnwalder, a sua volta, sembra non voler rifiutare i consigli. Perchè, ed è questo il cambio di passo che si è registrato ieri, il mondo economico non pone sul tavolo solo i classici elementi di dialettica politica e amministrativa che l’hanno sempre caratterizzato (diminuzione della pressione fiscale, sburocratizzazione, rafforzamento e sostegno dell’export, contributi diretti) ma propone un’Alto Adige in grado di dotarsi di strumenti di modernità «erga omnes». Una Università solida, il multilinguismo applicato e condiviso, infrastrutture che tolgano la provincia dall’isolamento, sostegno all’innovazione, riforma delle superiori sono passaggi che, a cascata, faranno l’interesse delle imprese ma che, in prima linea, servono a farci crescere come comunità. Accade, in modo più strutturato, quello che in passato era stata una caratteristica quasi solo estetica del mondo economico altoatesino: quello di essere luogo di elaborazione di una visione di società meno identitaria, non solo etnica, più dialogante, che badava al sodo e alla pacificazione e non solo ai monumenti e alle sfilate. Ora questo «luogo» è un interlocutore sociale. Come il sindacato, come il mondo della scuola. Tutti partner su cui l’Alto Adige che guarda al futuro può appoggiarsi per creare dei contrappesi rispetto all’Alto Adige della conservazione e dei nazionalismi contrapposti. Le imprese stanno occupando un vuoto propositivo della politica che fa onore a loro ma non umilia la politica. Perchè la politica deve anche pensare a tenere insieme. Ma dovrebbe sempre più farlo nella convinzione che alcuni passaggi sono imprescindibili: la burocrazia provinciale resa più agile e in grado di risolvere i problemi dei cittadini senza crearne di fittizi, una Università realmente inserita nel tessuto sociale, una decisa accelerazione sul fronte del bilinguismo, l’aeroporto (e dei trasporti) che funzioni e che ci colleghi al mondo in breve tempo, innovazione e ricerca nel quadro di una sempre più consapevole attenzione alla sostenibilità ambientale sono snodi che vanno affrontati senza tergiversare. Durnwalder e i suoi non possono insistere nell’invocare un unanimismo a corrente alternata: indispensabile solo nelle scelte strategiche e di politica infrastrutturale ma improvvisamente sbriciolato quando si tratta di immersione linguistica. Sul tedesco nelle scuole italiane Durnwalder sa ben dire, come gli antichi romani «sì, sì e no, no»; e anche sui monumenti non conosce il compromesso. Che questa capacità di decidere da che parte stare, il presidente e la Svp la ritrovino anche sul terreno dello sviluppo e degli strumenti per affrontare la modernità è nell’interesse non solo delle imprese, che pensano si loro bilanci, ma anche di tutti noi.

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