Steurer: la memoria corta di italiani e sudtirolesi

«Il governo ha sbagliato, ma qui c’è un vittimismo che non affronta le colpe»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. È triste Leopold Steurer. Detto "Poldi", mente lucidissima, storico e intellettuale che - da sempre - non fa sconti a nessuno. È triste Poldi. Per la storia della bandiera e perché qui si finisce sempre schiacciati dentro la storia. E spiega perché: «Da una parte ci siamo noi, i sudtirolesi. Che siamo i Weltmeister, i campioni del mondo del vittimismo. Si parla di una guerra? Siamo subito i poveretti. Quelli che subiscono i torti. E invece le abbiamo volute tutte, le ultime guerre. Guardi gli Schützen: ricordano e mitizzano solo la guerra sulle Dolomiti, la difesa patria. Alla Trenker. E il resto? E le responsabilità? Dall'altra ci sono gli italiani. Che guardano al mito fondativo delle trincee sul Piave e non al fatto che l'Italia divenne allora imperialista».

Ecco la tristezza di Poldi, che ne ha viste tante e poche cambiare. E qui lo storico Steurer cita un altro grande sudtirolese, di quelli che si sono fatti tutti gli esami di coscienza prima di farli agli altri: «Gatterer scriveva che la storia o la si conosce e la si racconta tutta oppure farlo a metà non serve. Non serve scegliere sempre e solo la parte che ci piace. E mi sembra che da noi sia la scelta vincente, purtroppo. Guardate gli Schützen e tutta la retorica di Dio, patria e il resto...».

E il caso della bandiera?

È stato un errore metterla giù così, in una ordinanza che non spiega il contesto. E le variabili. Che qui sono anche sostanza.

Il governatore Arno Kompatscher e gli Schützen si sono trovati d'accordo...

Andiamoci piano. Sono due mondi opposti, il bianco e il nero. Kompatscher fa di tutto per cambiare le cose. È un uomo equilibrato e leale. Ci prova sempre a fare il meglio possibile. Gli Schützen no. Mascherano dietro un finto pacifismo il loro pangermanesimo. Si dichiarano antifascisti ma sono solo anti-italiani. E nostalgici di un Sudtirolo che non c'è mai stato. Non si sono mai assunti le responsabilità di una storia che ha spesso visto i sudtirolesi stare dalla parte sbagliata. Sono pericolosissimi.

Arno allora ha avuto ragione a risentirsi?

E certo. Lui ragiona. Cerca un punto di equilibrio in una materia bollente. Penso che la soluzione della bandiera a mezz'asta sia la migliore. Perché dopo un secolo è comunque infelice ricordare una guerra. Una guerra terribile e atroce che ha causato milioni di morti e lacerazioni profonde.

Per gli alpini ma anche per Gramsci è invece un mito fondativo...

Un mito appunto. È vero che l'Italia era una nazione giovane e che attraverso la durissima prova delle trincee, che ha messo vicino lombardi e siciliani, si è creata un'unità di popolo e di popoli che prima non c'era. Ma vorrei che le nazioni si fondassero sulla cultura, la scuola, invece che sulle guerre. Ma questa è una mia idea...

Una semplificazione la visione della quarta guerra risorgimentale dunque?

Ha una sua legittimità, non dubito. L'ha avuta in passato. Ma penso che in questi anni ci sia stata una tendenza, che giudico positiva, di attribuire questi valori di guerra risorgimentale alla Resistenza. Vedo molto più cultura unitaria, visione di un nuovo inizio, democratico, nella lotta partigiana, nella ribellione di interi reparti militari dopo il 1943 che non in una guerra di cento anni fa.

Perché siamo così sensibili ai miti in Alto Adige o Südtirol?

Perché siamo stati schiacciati dalla storia. Gli Schützen sparano con gli stessi moschetti con cui i loro nonni sparavano nella Wehrmacht o quasi. Capisce il cortocircuito? Per legittimare una storia difficile si nascondono sempre certi suoi aspetti. Si privilegia il buon italiano da una parte e il buon sudtirolese dall'altra. Che faceva una guerra-non guerra. Anche se era quella hitleriana.

Come se ne esce?

Evitando di guardare solo alle schegge della storia. È complicato farlo in Alto Adige ma non c'è altra strada.

Bisogna accettare la complessità?

Bisogna perseguirla. Come si fa a ricordare in modo corretto la grande guerra se gli italiani pensano solo al Piave e i tedeschi alle Dolomiti difese e poi perdute? E non si legge quello che i sudtirolesi dicevano a proposito dei trentini da tedeschizzare nel 1916 o quello che pensano gli italiani del loro essere capitati qui due anni dopo? Oppure all'adesione di migliaia di sudtirolesi ai disegni hitleriani di tedeschizzazione, al Lager qui a due passi, alle vendette sugli italiani? Meglio rifugiarci ognuno nella propria fettina di storia ritagliata per farci credere di essere sempre vittime.

C'è una speranza? Si può uscire da questo corto circuito?

Certo che c'è. Faccio un piccolo esempio. Esiste ora un libro di storia comune, scritto in tedesco, italiano e ladino. È la soluzione per le future generazioni. Se ognuno si fa i suoi testi e non guarda oltre continueremo a credere solo nella nostra piccola fetta di storia. E non capiremo mai gli errori e le responsabilità. Per poi superarli e migliorarci.

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