Tre bariste sconfiggono gli spacciatori di via Zara

Gestiscono il “Kilowatt”: «Abbiamo smesso di servire chi vendeva droga» Per mesi sono state minacciate: «Si sono presentati armati di martello»


di Susanna Petrone


BOLZANO. Hanno cacciato gli spacciatori che avevano l’abitudine di vendere droga nella piazzetta di fronte all’Eurac, sotto ponte Druso e in via Zara. Per mesi hanno resistito alle minacce dei pusher, che si rifiutavano di spostare il proprio “commercio”. Non hanno mai abbassato la testa. E ora rischiano di dover chiudere, perché non si vuol dar loro il permesso di fare karaoke due volte a settimana. Loro sono le tre donne ucraine che gestiscono il bar “Kilowatt”. Nel loro bar è vietato spacciare o avere atteggiamenti violenti. Elena Koval è fiera di quello che lei e le sue due figlie Alessia e Oressia sono riuscite a fare. Un anno e mezzo fa hanno preso in gestione il locale, che in poco tempo è diventato il punto di riferimento della comunità ucraina, ma anche di tante famiglie altoatesine, studenti e anziani che vivono in zona. «Due anni fa abbiamo deciso di affittare uno spazio più grande - dice Alessia -. Quando ci hanno detto che i cinesi lasciavano questo bar, abbiamo deciso di rischiare: tempo poche settimane e abbiamo aperto il bar Kilowatt».

All’inizio. Una nuova sfida per le tre donne, che non potevano sapere che quella zona, una volta arrivata la sera, era frequentata soprattutto da spacciatori: «Nei primi mesi non abbiamo fatto tanto caso a quello che succedeva - racconta Elena, che da brava matriarca ucraina ha insegnato alle figlie a stare alla larga dai guai e dalla droga -. La sera venivano sempre molti ragazzi nordafricani e bolzanini. Alcuni di loro spendevano fino a 700 euro a serata in vodka e champagne. Erano “buoni” clienti, insomma». Gli affari vanno a gonfie vele dunque. Ma poi accade qualcosa: una sera Alessia vede un ragazzo fare uso di cocaina. «Stava sniffando della polvere bianca che aveva messo sul tavolino - ricorda -. Gli ho ordinato di lasciare il mio locale e di non farsi più vedere». Lo spacciatore ha reagito, cercando di colpirla. «Mi hanno salvata dei clienti. Da quel giorno abbiamo iniziato ad osservare meglio quello che accadeva - aggiunge Oressia, la più giovane -. Erano spacciatori. Ogni volta che arrivava un gruppetto di bolzanini, uno di loro si alzava e si allontanava per qualche minuto. Poi tornava. Consegnava qualcosa ai ragazzi e loro gli passavano dei soldi. La droga la nascondevano sotto ponte Druso, nei cespugli lungo il Talvera o nell’edificio abbandonato in via Zara. In poco tempo abbiamo capito che gli spacciatori usavano questa piazzetta per i loro affari. E tutti i tossicodipendenti sapevano perfettamente dove trovarli». Che fare?

Le minacce. «Abbiamo deciso di non servire più gli spacciatori - dice Elena Koval -. Per mesi ci siamo rifiutate di prendere le loro ordinazioni». E non senza subire minacce e pressioni. «Una sera si sono presentati davanti al locale armati di martello, urlandoci contro. Si volevano vendicare del fatto che erano stati mandati via la sera prima. Per mesi i nostri fidanzati non ci hanno lasciate sole. Ignoti hanno cercato di sfondare la porta d’ingresso in vetro. Qualche settimana dopo ci hanno lanciato addosso delle bottiglie mentre stavamo fumando davanti al bar. Ma alla fine hanno dovuto cedere e si sono spostati altrove», conclude Alessia.

Ora tutto questo però è a rischio. Alcune famiglie della zona non vogliono che si faccia il karaoke il venerdì e il sabato sera. Disturberebbe.

«Purtroppo, noi viviamo proprio di queste serate. Molti ucraini vengono qui per cantare canzoni tradizionali. In tanti vengono qua per parlare di quello che sta succedendo in patria. Cerchiamo solo di stare un po’ insieme. Abbiamo cacciato gli spacciatori. Vogliamo poter lavorare in santa pace. Se vediamo qualcuno con della droga lo mandiamo via o chiamiamo la polizia. Se chiudiamo, torneranno», conclude Alessia.

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