Tricolore “spazzato via” Tutti assolti in appello

Cancellata la multa di 3 mila euro a testa inflitta in primo grado a Klotz, Knoll e Thaler. I giudici smentiscono la Cassazione: non si trattò di vilipendio


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Tutti assolti «perchè il fatto non costituisce reato». I consiglieri provinciali Eva Klotz e Sven Knoll ed il rappresentante legale del movimento Südtiroler Freiheit, Werner Thaler, si sono visti cancellare con un colpo di spugna la condanna subìta in primo grado a 3 mila euro di multa a testa per vilipendio della bandiera italiana. Il diritto di critica ed il diritto di espressione - ha sostenuto ieri in arringa l’avvocato difensore Nicola Canestrini - debbono essere considerati prevalenti anche sull’eventuale necessità di difendere il decoro dei simboli delle istituzioni. Al centro del caso c’erano ancora una volta i manifesti della campagna promozionale secessionista lanciata alcuni anni fa dal partito di Eva Klotz ed in cui la bandiera italiana, cioè il tricolore, veniva rappresentato a terra, spazzato via da una scopa di saggina come si trattasse di un rifiuto da inserire in una pattumiera. Il tutto con lo slogan: “L’Alto Adige non ha bisogno dell’Italia”. Diritto di espressione e di critica o vilipendio della bandiera, dunque del simbolo di una identità di popolo? La Corte di Cassazione nel confermare la legittimità del sequestro preventivo dei manifesti (che furono bloccati dal procuratore Guido Rispoli prima che venissero affissi in tutto l’Alto Adige) non ebbe dubbi sulla natura del reato. La Suprema Corte rilevò infatti che la bandiera italiana era stata rappresentata «ad evidente fine di dileggio, siccome portata via da una scopa per far posto a quella tirolese, raffigurata come bandiera pulita che segue al sudiciume ramazzato dalla scopa». I giudici della Corte d’appello di Bolzano non hanno però neppure tenuto conto della valutazione della Cassazione e hanno assolto in pieno tutti gli imputati ritenendo che quel manifesto rientrasse comunque nel legittimo diritto di critica politica e di espressione. Inascoltata anche la Procura generale che aveva chiesto la conferma della condanna pecuniaria inflitta in primo grado ai tre imputati. Molto soddisfatto ovviamente l’avvocato difensore Nicola Canestrini. «I giudici hanno riconosciuto che quel manifesto non potesse configurare il reato di vilipendio che significa dileggiare e disprezzare gratuitamente - puntualizza il legale - in realtà il manifesto intendeva semplicemente illustrare la voglia di chiusura dei promotori con lo Stato italiano secondo un preciso disegno politico». In questo contesto è stato riconosciuto prevalente il diritto di critica e libera espressione. La Procura generale potrebbe decidere di impugnare la sentenza in Cassazione.

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