«Un passato ingombrante trasformato con ironia» 

Obermair: «Un contributo all’europeizzazione del nostro tessuto urbano Con questa operazione battuta la santa alleanza fra destra italiana e tedesca»


di Paolo Campostrini


BOLZANO. "La scritta e le luci? E' una operazione un poco sovversiva e anche vagamente ironica..."

Perché per Hannes Obermair, anche questo scoperchia i tanti sepolcri imbiancati ed è espressione di un "individualismo critico e resiliente", fino ad essere "un contributo alla europeizzazione del nostro tessuto urbano".

Una fuga dal provincialismo che, per lo storico e docente a Innsbruck e membro della commissione scientifica che ha elaborato il depotenziamento del bassorilievo di Piffrader dopo aver compiuto la stessa operazione sul monumento, ha battuto "la santa alleanza tra destra italiana e tedesca" e i fautori "ingenui dell'art pour l'art", sanando infine una vasta ferita civile.

Obermair compie un'analisi profonda di quello che accadrà domani in piazza Tribunale con le luci e la scritta della Arendt sul duce a cavallo, ed è significativo che lo faccia adesso, alla vigilia dell'evento, dopo mesi di silenzio successivi alle sue dibattute dimissioni da direttore dell'archivio storico comunale.

Perchè è importante quello che accadrà domani?

"Per la ragione che una memoria finalmente critica e attuale trasforma un passato ingombrante in una contemporaneità più intelligente, leggera e finalmente desacralizzata."

E la scritta?

"Ci porta via dal collettivismo totalitario verso un illuminismo laico e un poco sovversivo. Che è quello della Arendt".

E' un percorso iniziato anche da lei, assieme alla stessa commissione di storici, sul monumento alla Vittoria...

"Ed è un percorso che sancisce in fondo la non reversibilità delle contestualizzazioni operate negli ultimi anni che non hanno carattere etnico ma universalistico e finalmente europeo. Insomma non si torna indietro".

Molti si sono opposti a questa rilettura.

"Si è formata una strana santa alleanza, tanto reazionaria quanto vittimista, sostanzialmente di destra. Facendo toccare gli opposti italiani e tedeschi. E anche unendosi a chi è fautore ingenuo de "l'art pour l'art". Di chi non vuol vedere la profonda ferita civile inferta lì. Di chi vorrebbe o farla finita coi monumenti o togliere anche l'anello da piazza Vittoria".

Perchè è accaduto proprio a Bolzano?

"Ci sono spiegazioni psicanalitiche, come i sentimenti di difesa, la paura della castrazione. Ma può solo avvenire in chi si identifica coi monumenti stessi e non vuole coglierli nella loro duplice essenza "di opere della cultura e della barbarie" per dirla con Walter Benjamin. E non comprendono quanto un piccolo intervento chirurgico possa essere salutare".

Cosa vede lei, da storico, nel bassorilievo?

"Una visione totalitaria e trionfalistica. E pure maschilista della storia. Superuomini soli al comando, dotati di ipertrofica mascella e milioni di sudditi che seguono appagati. Non racconta invece le madri coi figli uccisi dalla guerra o dalle leggi razziali, i Matteotti, i fratelli Rosselli, gli oppositori o uccisi o incarcerati, l'alleanza col nazismo, le pulizie etniche".

E chi deve raccontarlo?

"Noi, oggi".

Qual è invece il "racconto" di chi ha voluto questa scelta?

"Una narrazione che sancisce la nascita di quella che chiamerei "the Bolzano way", un'audace "strategia di Bolzano". Che ha deciso di essere attenta a cogliere l'intenzione autentica dei monumenti, il loro nucleo antiumanistico".

Anche preservandoli?

"Certo, preservando così sia il messaggio totalitario che la loro avvenuta rilettura".

Ci sono stati ritardi?

"Troppi. Tremendi. Figli del non voler vedere. Un ritardo purtroppo sistemico in Italia e ce lo ricorda il caso dello sfregio di Anne Frank, ultimo di una lunga serie di revisionismi, moltiplicatisi nel ventennio berlusconiano. Per fortuna al monumento alla Vittoria e al suo progetto hanno assegnato un premio europeo e questo ci ha ricordato che le vie d'uscita dal "secolo degli estremi" ci sono. Ma non può essere che l'inizio, in particolare in Italia, dove i lasciti del fascismo non sono stati raccontati né tantomeno musealizzati".

Non c'è il rischio di ambiguità nel messaggio, di non capire?

"Non dobbiamo avere paura dell'ambiguità e dei significati aperti che troviamo ora, davanti al tribunale. Proprio Hannah Arendt ce lo ricorda. Un monumento estremo e chiuso esige l'atteggiamento dissonante e aperto verso di esso. Il bassorilievo va senza alcun dubbio lasciato lì ma al contempo capovolto nei suoi intenti."

E' l'unica strada?

"L'unica per la pacificazione memoriale e la riscossa della vittime dei fascismi. Chi si oppone ci ricorda solamente che la strada è lunga e mai si concluderà. Ma forse è un bene, perché così si tiene viva la spinta verso una memoria critica, di cui una società civile avrà sempre bisogno".

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