L'INTERVISTA arianna fiumefreddo attivista 

Una festa che ti mette un’ansia da performance 

Il mio San Valentino/2. La vicepresidente di Centaurus: ora so  che esistono tanti modi di dirsi innamorati e tantissimi modi di  esserlo in una coppia. Da ragazzina mi sentivo a disagio e giudicata



Bolzano. Per Arianna non esiste la coppia. Esistono le coppie. E scappa, appena può, via dalle favole. Soprattutto dai principi azzurri e dalle principesse rosa. Le quali sono sempre lì, mezze svenute e ferme, irrigidite e immobili in attesa che arrivi il bacio dell'uomo. Storie che sono in fondo una piccola e immutabile anticamera letteraria dei gap di genere. Dell'uomo che va a cavallo e va dove vuole e della donna che aspetta in silenzio. La radice universale, in fondo, di tante violenze. Per lei invece, insegnante, formatrice, esperta delle dinamiche relazionali e di identità, che si occupa di prevenzione e di mondo lgbt, femminista, in commissione pari opportunità, c'è l'amore e ci sono gli amori . «C'è soprattutto il rispetto. E il consenso» dice Arianna Fiumefreddo. «Amore è conoscere il limite. E provare a non proiettare mai se stessi nell'altro o nell'altra. La coppia non ci completa, noi lo siamo già completi. Dobbiamo allontanarci dall'idea della mela, dell'altra metà da scoprire in giro per il mondo che ci restituisce la nostra unità primigenia. Se dico amore, vorrei dire amore etico». Una morale profonda, dunque, che unisce i generi e che va anche oltre i generi. Che ritrova l'amore nel rispetto dell'altro.

Che fa per la festa?

Oddio, rieccola.

Perchè?

Ricordo che fin da ragazzina la vivevo con molta ansia. Del tipo: che faccio ora? Che dico in casa visto che non ho il fidanzato? Ecco San Valentino è una di quelle date che ti fanno entrare in uno stato particolare.

E quale?

Lo chiamo ansia performativa. Vuol dire che tutti si aspettano da te qualcosa che sia in linea con le aspettative generali di quella ricorrenza secondo lo standard comune. E accettato. Insomma, una pena.

E adesso?

Va meglio. Ho una compagna. Ma soprattutto ora so che esistono tanti modi di dirsi innamorati e tantissimi modi di esserlo in una coppia. Ci sono gli amori gay, lesbici, i poliamori, gli amori disperati e quelli difficili.

Si sente di dover dimostrare ancora qualcosa agli altri?

Una volta accadeva. E San Valentino arrivava a mettere un po' in crisi chi si trovava a vivere amori gay o lesbici, chi stava provando a camminare in nuovi territori. Ricorrenze del genere giungevano come un giudizio personale sul proprio modo di essere. E non andava. Perché metteva in ombra la profondità, direi l'eticità di certe relazioni. Che sono basate sul consenso e su un'idea alta dell'altro, come essere da rispettare. E quindi da amare.

Dunque il suo San Valentino?

Direi che proviamo a sceglierci un altro giorno, uno qualsiasi per festeggiare questo tipo di cose. Fuori dal coro. Sono più tranquilla ora, e colgo in questo profluvio di fiorellini e di cioccolatini qualcosa di terribilmente sdolcinato, che costringe a recitare una parte. Il dovere di fare San Valentino.

Ma c'è anche un rovescio interessante?

Beh, interessante è l'idea dell'innamoramento. Quella sì andrebbe vissuta. Certo siamo tutti un po' schiavi dell'immagine romantica della coppia. Una volta, prima dell'800 ci si sposava per interesse o per far figli. Dopo è arrivata questa idea balzana che si dovesse stare insieme perché ci si amava. Bene. Ma il rischio è dare sempre una rappresentazione stereotipata del rapporto.

Quindi?

Meno edulcorazioni e più educazione al consenso e al rispetto. Ecco, vorrei poter parlare sempre, come faccio ora, di un San Valentino etico, basato sul rispetto del limite, sulla capacità di non necessariamente pretendere di proiettarsi nell'altro ma di essere se stessi. Capaci dunque di amare per quello che siamo. P.CA.













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