Uniti per salvare il classico tedesco


Paolo Campostrini


La scuola al tempo dei tagli ci offre la certezza che viviamo in uno strano luogo. L’ultima ridotta dello stato sociale novecentesco, la Provincia dove si pagano più dipendenti pubblici che tasse, che privatizza presa per il collo con lo stessa faccia perduta di un funzionario della cassa per il Mezzogiorno, decide di lasciare l’istruzione superiore di punta nelle mani di privati sacerdoti, abbandonando al suo destino un Classico pubblico da cui è uscita metà della nostra classe dirigente. Che sia un liceo tedesco a noi non importa nulla. Anzi, importa forse più che se si trattasse di quello italiano. Perchè il Walther von der Vogelweide è con il Carducci un pezzo di storia nostra. Nostra intesa come luogo in cui si è formata una comunità: divisa fin che si vuole ma che proprio nei luoghi in cui ha deciso di diffondere e sviluppare cultura ha trovato la forza di capirsi. Costruendo ponti e relazioni dove altrove trovavano sempre più spazio le mistificazioni identitarie. Che da che mondo e mondo, si sviluppano in senso inversamente proporzionale all’assenza di letture. Quella per il Classico tedesco non è una battaglia perduta: è una battaglia appena iniziata.
E che è giusto vada combattuta senza distinzione di lingua o di censo. Nella quale dovrebbe sentirsi coinvolto chiunque abbia a cuore il nostro destino di doppia minoranza inquieta, di isola sbattuta dalle correnti della storia, preda di chiunque passi di qui con la sola intenzione di semplificare questioni complicate (da Hitler a Mussolini, da Tolomei alla Klotz), giocando con la pigrizia degli ignoranti.
Ma la sopravvivenza del Walther non è solo una trincea che potrebbe essere occupata trasversalmente da italiani e tedeschi di buona volontà: è il terreno su cui misurare la capacità della classe dirigente provinciale di confrontarsi con la modernità. Una giunta che mantiene con i nostri soldi ridotte elettorali ospedaliere, muovendosi con operazioni vellutate laddove dovrebbe mostrare ben altro piglio, ritrova d’incanto vigoria privatizzatrice proprio nell’unico settore, quello della cultura superiore e dell’istruzione, dove il pubblico è ancora l’unico collante tra le generazioni e le classi sociali, capace di svolgere una primaria funzione strutturante nell’interesse di tutti. Una giunta incapace di comprendere che lasciare ai privati uno dei pochi ambiti decisivi per il futuro di una comunità è una giunta che ammette una carenza strategica, che non sa distinguere tra tagli e tagli ma che affonda solo dove sa che potrebbe pagare costi elettorali minimi. E che dunque agisce per interessi tattici, senza una cornice complessiva di riferimento.
Il «pubblico» del Classico tedesco è un pubblico buono. Uno dei pochi per cui vale la pena di battersi. E uno dei pochi per cui vale farlo insieme, italiani e tedeschi. Perchè è giusto che i ragazzi sudtirolesi (ma anche gli altoatesini che lo frequentano) non debbano pagare la retta ai Francescani per leggersi Sofocle in greco o Machiavelli in italiano. Per questo il Walther è al centro dell’interesse dell’«Alto Adige»: non perchè è tedesco ma perchè è un magnifico liceo.

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