«Uomo e natura alleati dopo Vaia» 

L’intervista. Mario Broll, direttore della Ripartizione foreste della Provincia, spiega le strategie per fare rinascere i boschi distrutti dalla tempesta e plaude alle iniziative di privati e associazioni per la messa a dimora di nuove piante. «Sono gesti soprattutto simbolici, ma di grande valore» 


paolo tagliente


Bolzano. Aiutare i boschi altoatesini a rinascere, dopo le profonde ferite inferte dalla tempesta Vaia, e coinvolgere la popolazione. Questo è lo scopo di iniziative come quelle di cui abbiamo scritto, ieri, su queste pagine. Un’iniziativa che, voluta da un gruppo di giovani bolzanini, si terrà il 5 settembre prossimo, alle 10.30, a Obereggen, dove verranno messe a dimora nuove piantine. Ma, per fortuna, non si tratta di un episodio isolato. A rivelarlo è Mario Broll, direttore della Ripartizione Foreste della Provincia.

Di che progetti si tratta, dottor Broll?

Ci sono diverse associazioni, come il Rotary e ditte private, ma anche i vigili del fuoco, impegnati su questo fronte. A loro garantiamo il nostro supporto, cercando l’accordo con i proprietari dei terreni, Comuni e frazioni, cerchiamo il sito, mettiamo a disposizione le piantine e diamo supporto tecnico a chi parteciperà. Ci sono varie forme di collaborazione: c’è chi vuole piantare gli alberi, c’è chi da un’offerta e noi provvediamo alla piantumazione, con i nostri operai.

Si tratta di “contributi” che hanno un peso per i nostri boschi?

Si tratta di azioni soprattutto simboliche, ma molto importanti. Basti pensare che per ogni ettaro di bosco ci vogliono dalle 2000 alle 5000 piantine. Teniamo conto che su 5918 ettari devastati sono circa mille quelli su cui è previsto un rimboschimento. Ma è comunque un segno di volontà di essere partecipi e di dare il proprio contributo che, per quanto piccolo, è sempre molto importante. Un segno dell’affetto che c’è soprattutto tra i giovani, ma anche tra i meno giovani, per una risorsa che ci si accorge essere valida, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale, ricreativo e culturale, quando manca. Per non parlare della forza di assorbimento dell’acqua, basti pensare che, con Vaia, i boschi altoatesini hanno trattenuto 150 milioni di metri cubi di pioggia, più della capienza del lago di Resia. Le funzioni del bosco, quindi, non sono sempre tangibili, visibili e remunerate. Per questo, ogni iniziativa, volta a testimoniare l’identificazione da parte di cittadini, associazioni, ditte ed enti pubblici non può che far piacere

Qual è la situazione dei boschi altoatesini? Come procede il rimboschimento?

La nostra intenzione non è mai stata quella di rimboschire tutto, ma quella di preparare il terreno, così che le stesse forze della natura che hanno seminato distruzione, ora collaborino alla rigenerazione del bosco, con l’inseminazione naturale da parte delle piante rimaste in loco o di quelle cadute. In certe parti di quei circa mille ettari a cui accennavo prima, sono previsti dei rimboschimenti per accelerare questo processo di ricrescita. Si tratta di zone dove si prevede che la rinnovazione naturale sia limitata e avvenga molto tardi oppure di zone su versanti scoscesi e ripidi dove occorre intervenire per affrettare l’azione protettiva del bosco. Poi ci sono le iniziative spontanee come quella del 5 settembre che lanciano messaggi importanti, che hanno un impagabile effetto moltiplicatore e che ci fanno grandissimo piacere.

Quali ti tipi di alberi vengono piantati e su quali basi, voi tecnici, li scegliete?

Ogni sito ha caratteristiche ecologiche particolari e, quindi, dà possibilità migliori a certe piante piuttosto che ad altre. In ogni caso, vengono sempre piantati alberi assolutamente adatti al sito. Abbiamo condotto analisi di oltre sei anni sulla naturalità nei nostri boschi e possiamo dire che la maggior parte si trova nel loro potenziale e ottimale climatico, nonostante Vaia. I boschi di abete rosso qui, ad esempio, si trova dove Madre Natura li avrebbe messi. Non sono paragonabili ai boschi del centro Europa, ad esempio, dove è stato piantato abete rosso e dove, invece, potevano crescere la quercia e il faggio. Qui da noi, invece, gli abeti rossi sono cresciuti, per la maggior, parte nel loro optimum climatico. In base a questa analisi, quindi, noi sappiamo quali piante siano le più adatte alle varie zone. Logicamente, in quelle devastate da Vaia, si tende a non piantare nuovamente solo abete rosso, ma a mantenere la mescolanza con latifoglie e soprattutto con il larice, poco presente in questi boschi. L’abete rosso, infatti, è un po’ egoista (ride, ndr), perché quando è grande esclude le altre piante. Magari cresce insieme alle betulle, al pioppo tremulo o al sorbo dalle splendide bacche rosse, poi, dopo quarant’anni, li raggiunge, toglie loro l’ombra e ne provoca la morte. Questo per dire che, anche se il bosco finale sarà per la maggior parte formato di abete rosso, almeno nella fase iniziale cerchiamo di favorire questa mescolanza di specie, che è naturale. Le iniziative come quelle del 5 settembre aiutano anche a sensibilizzare sui processi che la natura farebbe comunque, in tempi molto lunghi, ma che noi acceleriamo. Gli alberi che saranno piantati sono prodotti dai nostri vivai che, a loro volta, derivano da sementi che arrivano dai nostri boschi. Un circolo virtuoso a chilometro zero, insomma.















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